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LA TERRIBILE "BANDA FABBRI", 1945 - 1946. Nella notte tra il 22 e 23 gennaio 1946 uccisero due o tre persone in una galleria della linea gotica ad Anchiano.

5 novembre 2022
Questa mattina passeggiando a caccia, ho voluto ripercorrere la canaletta della “polla del fico”, che parte da dietro lo stabilimento della Italvetro, in località Pianello di Anchiano ed arriva in fondo allo “stradone di Anchiano” , in direzione Lucca, scorrendo tra il monte e la statale, andando a defluire nel Serchio. La “polla del fico” faceva sgorgare un’acqua molto buona, che gli anchianini  andavano a prendere perchè dicevano essere speciale per cuocere i fagioli. Nella zona della “polla” c’erano i sistemi di pompaggio dell’acqua dello stabilimento Italvetro e, per questo motivo, erano frequenti le occasioni di controllo e di verifica. Lungo la canaletta, poi, dopo un sistema di vasche di decantazione, defluivano le acque di lavorazione dello stabilimento ed anche per questo motivo andavo spesso a controllare che il sistema di depurazione funzionasse. Il motivo della mia passeggiata era anche di andare a ricercare una lapide in marmo, posta sull’ingresso di una galleria della “linea gotica”, fatta costruire dai tedeschi, dove, nel 1946, erano state uccise due persone dagli appartenenti alla cosidetta “banda Fabbri”. Il vialetto lungo la canaletta è ormai impraticabile ed arrivare alla galleria è stato davvero complicato. Ma alla fine ci sono arrivato, ho fatto le foto ed ho cercato di ripercorrere la storia di quella “banda”,  che terrorizzò la valle del Serchio e la Lucchesia dalla fine del 1945 ai primi mesi del 1946, nei tempi duri e complicati dell’immediato dopoguerra. Conoscevo un po’ la storia di quella banda e dei suoi misfatti, ma ho trovato una narrazione interessante, sull’argomento, dello storico Paolo Marzi di Gallicano che ho ripreso quasi interamente in questo testo.
 
Sulla fine dell’anno 1945 sul territorio della provincia di Lucca operò un gruppo di “banditi” che si fecero conoscere per i loro delitti e per la loro ferocia con vari nomi: per molti fu la "la banda del camioncino rosso" per altri "la banda  dell'autostrada", ma per tutti sarà riconosciuta con il nome del suo capo "la banda Fabbri".
Le sue attività criminose durarono per pochi mesi, dall'ottobre 1945, alla primavera successiva; in questo poco lasso di tempo uccisero cinque persone e rapinarono di tutto, dai soldi alle cose più impensabili. Il giorno in cui ci fu il processo il giudice per leggere i reati commessi si protrasse per oltre 25 minuti... La banda operava su tutto il territorio provinciale e oltre, aveva una delle sue basi operative nelle trincee e nelle grotte della Linea Gotica scavate dai tedeschi a Borgo Mozzano. I rapinatori agivano sia sulle strade che nelle abitazioni (come avvenne a Minucciano).
La banda era composta da elementi che provenivano da tutta la regione e anche dalla Valle del Serchio. Il suo capo si chiamava Lando Fabbri, fiorentino di Santo Spirito. Classe 1912, prima della guerra aveva lavorato come fattorino presso una ditta farmaceutica, impiego ottenuto tramite la federazione fascista, grazie ai meriti acquisiti con la sua partecipazione alla campagna d’Etiopia. “Lo dovemmo assumere per forza – avrebbe dichiarato al processo il suo ex principale – e non lo potevamo licenziare, benché fosse violento e prepotente. Una volta inseguì un altro dipendente sparando in aria con la rivoltella che portava sempre con sé”. A seguito di una condanna a 30 anni di reclusione comminatagli nel ‘38 dal tribunale di Genova per tentato omicidio a scopo di rapina, Fabbri fu rinchiuso nel carcere di Parma, per essere poi trasferito in quello di Massa; dal quale riuscì tuttavia a fuggire nel luglio del ‘44, sfruttando un bombardamento aereo alleato, che aveva sventrato il penitenziario. Unitosi assieme ad altri evasi a una formazione partigiana, al termine della guerra egli si stabilì a Pisa, sotto falsa identità e trovò lavoro alle Poste. Nella medesima città conobbe, nell’ottobre ‘45, i fratelli Attilio e Nilo Moni, con i quali formò un sodalizio criminale che, allargatosi rapidamente (la banda era composta da 22 persone), avrebbe causato, in pochi mesi di attività la morte di cinque persone, tutte uccise a sangue freddo. Come quella volta ad Anchiano (Borgo a Mozzano)quando ammazzarono come cani tre persone per rubare quattro gomme. Difatti si racconta che una parte della famigerata banda era a prendere un caffè a Lucca, quando tornando verso Viareggio scorsero un autocarro Mercedes targato Udine, carico di carrozzine per bambini. Il camioncino rosso dei malviventi si mise di traverso in mezzo alla strada e l’altro dovette fermarsi; a bordo c’erano due commercianti, i fratelli Secondo e Quinto Di Pauli e il loro amico Giorgio Pacile, provenienti da Udine e diretti a Roma. Una volta scesi, i tre si trovarono di fronte quattro rivoltelle e uno Sten; spinti al margine della strada, furono legati e imbavagliati. Gli ostaggi furono poi caricati sul camioncino rosso e il mezzo si avviò per la statale dell’Abetone avendo già in mente la destinazione: Anchiano, dove nell’ambito delle fortificazioni della Linea Gotica i tedeschi avevano approntato una caverna artificiale utilizzata come deposito munizioni. Ecco comunque la cronaca del processo e del fattaccio in questione riportata dalle pagine de "Il Tirreno" il 10 aprile 1946. Testimonianza dell'imputato Fabbri:" Erano diversi giorni che il Lippetti ci aveva pregato di aiutarlo a trovare delle gomme, perchè quelle del camioncino erano fuori uso. Così si decise di andare sull'autostrada ed avevamo aspettato due tre ore per trovare quello che andasse bene. E' arrivato il camion abbiamo guardato le gomme e così si decise di fermarlo... Ad Anchiano ci fermammo ed io andai a vedere la grotta ove avevamo stabilito di lasciarli e di andare in un altro posto per levare e gomme. Con degli stracci imbevuti di nafta esplorai la grotta e li portammo là... Essi si raccomandarono di non fargli nulla di male, ed infatti noi li rassicurammo. Il Lippetti però cominciò a dire che il suo camioncino rosso, che era ormai preso d'occhio poteva essere riconosciuto e che quindi bisognava ucciderli... Fra tutti decidemmo di ucciderli. Il Lippetti disse che se non li avessimo uccisi noi, li avrebbe uccisi lui. Allora io rientrai nella grotta e sparai!". A giudicarli per direttissima fu il Tribunale militare straordinario, istituito il 10 maggio‘45 conformemente alla legge speciale per la repressione delle rapine e che prevedeva anche la fucilazione. Il processo ebbe inizio a Lucca il 10 aprile ‘46 e fu peraltro l’ultimo tenuto da tale organismo giudiziario. La sentenza giunse già il 13 aprile (per leggerla ci vollero più di venti minuti), infliggendo, come il giornale riporta “le condanne più dure del dopoguerra toscano”: pena capitale per Fabbri e per il suo luogotenente Baccetti, ergastolo a Lippetti e ai fratelli Moni, 30 anni a Brega, Angelini e Fanelli, 15 anni a Baldacci, proprietario del mitra in dotazione alla banda; oltre a una serie di condanne minori. Un'ultima affascinante descrizione della miseria umana degli imputati la diede sempre "Il Tirreno" dell'epoca: "Senza folla intorno, senza giudici e l’apparato del processo, nell’intervallo, seduti, stanchi e depressi, hanno gettato la maschera e abbandonato il loro aspetto tracotante, che amano ostentare davanti al pubblico. Eccoli qui senza infingimenti, miseri uomini vinti dalle loro folli passioni, più bestie che uomini, paurosi al pensiero della sorte che gli attende, e pensare che uccidevano le loro vittime come se si fosse trattato di mosche. Dal dire al fare. Oggi no, oggi ci stanno attaccati alla vita, alla propria".
 
La lapide che si trova ad Anchiano, di fronte alla galleria dove avvenne l’uccisione ricorda solo i fratelli Di Pauli, mentre non cita il loro amico Giorgio Pacile, che viene ricordato dallo storico Marzi.
 







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