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"IL CONVENTO DI SAN FRANCESCO DEL BORGO" - una recensione di Roberto Guastucci

Roberto Guastucci, che il 1 dicembre 2013 ha presentato il mio libro nella chiesa di San Francesco in Borgo a Mozzano,  ha fatto una bella recensione......

IL CONVENTO DI SAN FRANCESCO DEL BORGO

A Borgo a Mozzano, in provincia di Lucca, il libro-evento dell’anno s’intitola “Il convento di San Francesco del Borgo”. Edito da Maria Pacini Fazzi, esce per iniziativa della locale Misericordia. L’autore è quel Gabriele Brunini che nel 1971, appena ventenne, con un manipolo di volenterosi la Misericordia l’aveva  ri-fondata dopo decenni di oblio; e del benemerito Sodalizio ha poi ricoperto  la carica di governatore ininterrottamente fino al 1995, quando venne eletto la prima volta sindaco di Borgo a Mozzano. Ad ogni modo, sindaco o non sindaco, Brunini non si è mai del tutto estraniato dalla “sua” Misericordia, la quale dal ‘71 ad oggi ha marcato una crescita, che non è esagerato definire esponenziale,  nel volume delle iniziative, nella quantità e nella qualità delle prestazioni, e di conseguenza nell’apprezzamento della popolazione.
   Dunque, se le vicende del cinquecentesco convento non si fossero incrociate con quelle della Misericordia, probabilmente  l’imponente struttura monastica eretta  nel 1523 non avrebbe trovato oggi il suo attento studioso e il suo appassionato cantore.
 
   Fu infatti nei primi anni ’80 che, per la scarsità di vocazioni religiose e di conseguenza per la carenza di personale, i Frati Minori si videro costretti ad abbandonare l’antico complesso conventuale borghigiano; così che, dopo serrate trattative tra il Magistrato della benefica associazione e la Provincia toscana dell’Ordine e dopo un periodo di concessione in regime di comodato esso venne infine generosamente donato dai frati alla  Misericordia borghigiana. La quale lo avrebbe poi utilizzato nel miglior modo possibile:  facendone cioè quel centro di accoglienza per anziani che oggi rappresenta una realtà fra le più conosciute, lodate e socialmente rilevanti del nostro territorio.
   Se tutto questo non fosse avvenuto, certamente Gabriele Brunini, che di tale operazione era stato il più convinto e tenace propugnatore,  non avrebbe mai pensato di  impegnarsi con tanto entusiasmo in meticolose ricerche d’archivio, e di scrivere questo libro: un imponente lavoro di ben 336 pagine dove dettagliatamente si racconta quanto tra quelle mura nel corso di quasi cinque secoli è avvenuto di bello di grande e di buono, e dove al contempo si è sviluppata in umiltà l’ordinaria vita quotidiana di una comunità consacrata.
   Si tratta dunque di un’opera scrupolosa e approfondita, ricca di nomi, date, fatti ordinari, avvenimenti importanti, notizie inedite, immagini esclusive, aneddoti e curiosità. L’autore evidenzia in queste pagine tutto il fervore  e tutta la partecipazione emotiva di chi ragiona delle cose che ama; oltretutto, benché questo volume rappresenti praticamente la sua opera prima, egli rivela un “mestiere” da  narratore collaudato anche in virtù di un linguaggio familiare, garbato e scorrevole; e, per quanto la storia che vi si racconta sia di per sé lunga e complicata, quelle pagine costituiscono una lettura agevole, e sotto ogni profilo avvincente.
 
   In effetti, benché nel volgere di un mezzo millennio molto si sia scritto su questa insigne struttura, finora era  mancato un racconto ampio e organico degli avvenimenti più propriamente “umani” che lì dentro si sono avvicendati; ed era pure mancata una descrizione, come questa puntuale fin nelle minuzie, degli aspetti ambientali, strutturali e artistici che fanno del convento un classico esempio di architettura francescana del XVI secolo. A colmare la lacuna ha e provveduto appunto il libro di Brunini; e, leggendo, si avverte una felice combinazione di rigore scientifico e di straordinario attaccamento sentimentale a questo convento, che per un così lungo spazio temporale ha intrecciato la propria storia con quella  di Borgo a Mozzano e dei paesi vicini.
   
   Il convento si innalza in tutta la sua imponenza sulla breve collina che sovrasta il paese di Borgo a Mozzano, rispetto al quale l’edificio è al tempo stesso discosto e contiguo, quasi a saldare le contrastanti esigenze della monastica riservatezza e del caritatevole coinvolgimento nella difficile vita delle persone. Ed è istruttivo, oltre che divertente, seguire gli avvenimenti ordinari e straordinari della vita conventuale,  che trovano nella vita sociale e religiosa del Borgo il loro credibile sfondo  umano e ambientale.
 
   La costruzione ebbe inizio nell’anno 1523, e furono i borghigiani stessi ad assumersi l’onere di tanta impresa, con la quale desideravano dare un vistoso segno di fede e di concorde operosità, dotare il paese di un edificio religioso altamente simbolico, e soprattutto esprimere gratitudine al Frati Minori Osservanti che, allogati fin dal 1514 presso la chiesa del SS. Crocifisso, si spendevano non solo nella predicazione sulle orme del loro famoso confratello S. Bernardino da Siena - che da qui era passato circa un secolo prima -  ma anche nell’esercizio del culto ordinario in appoggio alle parrocchie  circostanti, e nella pratica delle opere di misericordia specialmente  in favore di una popolazione povera e bisognosa.
 
   L’edificio fu concepito e realizzato con larghezza di vedute e quindi con l’impiego  di enormi risorse, in modo che potesse disporre di tutti gli spazi e di tutti i servizi  necessari alla vita di una folta comunità religiosa. Ecco allora la zona riservata al culto con la chiesa dedicata a S. Francesco sulla quale si leva un basso e tozzo campanile, la sacrestia e la cappella di S. Elisabetta regina; ecco gli ampi locali della foresteria, l’aula capitolare, la cucina e il refettorio, la canova, le celle per i frati, la spezieria e l’infermeria, il lavatoio, il coppaio e la cantina, i magazzini e i ripostigli, un lungo pergolato, un bosco di lecci, la vigna, l’orto, il giardino. E, a conferite al tutto bellezza e armonia, la centralità del chiostro, oggi come allora simbolo di ogni convento francescano. Esso è costituito da un ampio quadrilatero delimitato da pilastri in laterizio a pianta ottagonale, con capitelli in arenaria sui quali insistono archi a tutto sesto, mentre un basso muretto ne delimita l’intero perimetro a far da lungo e rustico sedile per i frati che vi sostavano a recitare l’uffizio. Nel centro del cortile, un pozzo a carrucola; e torno torno alle pareti una serie di secentesche lunette affrescate dal maestro Domenico Manfredi da Camaiore a rappresentare episodi della vita di S. Francesco commentati da deliziose quartine a rima incrociata e da ingenue didascalie scritte nelle forme lessicali del XIII secolo.
   Chi lo direbbe, ragionando con la mentalità di oggi, che questa superba struttura fu realizzata a suon di elemosine e donazioni?  E che vi concorsero, animati dagli uomini e dalle donne del Terz’Ordine francescano, e ciascuno secondo le proprie possibilità, ricchi e poveri, proprietari e nullatenenti? E che le pietre per tirar su i muri furono prelevate dal greto del Serchio e portate fin lassù mediante un “passamano” al quale presero parte, in lunga catena, praticamente tutti gli abitanti del Borgo?
 
   Orfano dei religiosi che un tempo lo popolavano, oggi lo storico convento di San Francesco ospita come s’è detto un centro di accoglienza per anziani. Il passato si salda dunque al presente e siamo tornati, per così dire, allo spirito delle origini: quando i frati mostravano nei fatti una premurosa  attenzione per i bisognosi, e andavano alla cerca dell’olio del vino e della farina non solo per sopperire al loro sostentamento, ma anche per  farne parte ai poveri nelle loro catapecchie, e agli affamati che a mezzogiorno si mettevano in fila davanti al portone con ciotole e gavette che il frate cuciniere riempiva di zuppa rusticana. Carità chiedevano e carità rendevano, secondo la pittoresca similitudine che il Manzoni mette sulla bocca del fraticello cercatore fra Galdino: “… perché noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi”. 
  
   E’ poi  interessante notare come  Brunini sia riuscito a ricavare dalle cronache del convento, oltre ai fatti notevoli  anche  i diversi momenti per così dire minori, ma non per questo meno interessanti, nella vita della comunità conventuale: come per esempio la variabile composizione delle fraterie che vi si sono avvicendate, e i diversi modi in cui l’immobile è stato utilizzato; dal momento che, oltre che dimora di famiglie francescane tipicamente intese, è stato anche sede di noviziato, studentato di filosofia e scuola di teologia: fra l’altro annoverando fra i suoi docenti uomini di grande dottrina e di conclamata santità di vita.
   E’ giusto inoltre segnalare  come nel corso dei secoli il convento del Borgo abbia attratto tanti giovani e adulti alla sequela del Poverello di Assisi;  a tal punto che  - si può dire -  non c’è paese del nostro circondario nel quale non sia fiorita almeno una vocazione francescana.  Ed è interessante trovare in queste pagine i nomi, con l’indicazione dei ruoli via via ricoperti in comunità, di tutti i frati del nostro convento a partire dai primi anni del XX secolo; così come è divertente leggere, oltre agli avvenimenti eclatanti  che per più di quattrocent’anni dentro e nei dintorni del convento si sono sviluppati, anche  tanti fatti e fatterelli di cui altrimenti si sarebbe inevitabilmente perduta la memoria; parimenti, è interessante considerare come Brunini abbia  reperito immagini antiche e recenti che attengono al convento e ai suoi inquilini in tonaca marrone: segno sì di scrupolo storiografico, ma anche - ci piace sottolineare ancora una volta - di un affettuoso coinvolgimento personale.  
    Sbaglieremmo comunque a pensare che nei quasi cinque secoli di vita del convento tutto sia sempre stato - come suol dirsi -  rose e fiori; perché anche nella pacifica vita dei nostri  frati vi sono stati momenti difficili e situazioni tempestose, di cui peraltro Brunini fa un puntuale e minuzioso racconto. Qui accenneremo solo sommariamente, per esempio, alla legislazione napoleonica riguardante la soppressione delle comunità monastiche: un traumatico provvedimento che nel 1808 raggiunse tutti i conventi francescani della Custodia Lucchese, e che pertanto riguardò anche il nostro. Successivamente, una volta mutate le condizioni storiche, si presentarono le non meno spinose difficoltà di ricomporre  la famiglia religiosa e, dopo la caduta del Bonaparte nel 1815, le complicate operazioni per il riscatto del convento e dei suoi beni, che nel frattempo erano stati venduti all’incanto.
   Tra gli eventi negativi di maggiore rilevanza,  bisognerà poi  richiamare gli anni della Prima guerra mondiale, quando dovettero lasciare il saio e vestire la divisa militare anche molti dei nostri frati, specialmente i più giovani, chierici e novizi; e al periodo della Seconda guerra, quando il convento divenne asilo di tanti sfollati, fra i quali ben 250 bambine  livornesi dell’istituto “Giovanni Pascoli” che in Lucchesia cercavano scampo dalle bombe che cadevano sul porto e sulle strutture civili della città labronica.
   Ma l’evento più insolito e più drammatico ebbe a verificarsi nel 1745 quando, in seguito ai turbinosi fatti politici e militari dell’epoca, l’esercito napolispano transitò per queste contrade con trentamila fanti  e migliaia di cavalli, depredando le popolazioni e devastando case e campagne. Anche il nostro convento  fu costretto ad alloggiare ben tremila armati. Come si può immaginare, la soldataglia lo ridusse in condizioni disastrose: accesero fuochi in tutte le stanze, sfasciarono suppellettili, svuotarono dispensa e cantina, distrussero tutto quello che era possibile distruggere; e anche i campi gli orti e le vigne, a motivo del gran numero dei cavalli in libertà e bisognosi di nutrimento, subirono scempi i cui effetti si prolungarono per anni.    
 
   Nell’ultima parte del libro Gabriele Brunini racconta, da protagonista e insieme da testimone, gli anni più recenti di quella che con un po’ di enfasi potremmo definire l’epopea del convento di San Francesco, e mette nella dovuta evidenza l’imponente mobilitazione popolare in favore di quel Centro Accoglienza Anziani che in qualche modo rappresenta  il prolungamento di un’esperienza plurisecolare di carità e di vita spirituale intensamente vissuta, tanto che ancora aleggia, tra quelle mura, come una suggestiva memoria di francescanità: una traccia di povertà lieta e decorosa, un diffuso sentore di essenzialità cristiana, un senso di fiduciosa accettazione e di pacata serenità. 
 
   Il momento della presentazione del libro, lo scorso 1 dicembre, ha visto la partecipazione di un pubblico straordinariamente numeroso, certamente richiamato dall’importanza dell’evento editoriale, ma  anche a dimostrazione della popolarità dell’autore e del vasto consenso sociale di cui gode la Misericordia di Borgo a Mozzano, alla quale verranno devoluti per intero i proventi della vendita del volume.
Roberto Guastucci
 







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