UN RICORDO DI SUOR ANCILLA MARIA DELLA CROCE a 100 anni dalla sua nascita (29 aprile 1915 - 29 aprile 2015).
Nel mese di aprile 2015 è stato dato alle stampe un libro, edito dalla Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano e curato dal suo Governatore Gabriele Brunini, che ricorda la carmelitana scalza Suor Ancilla Maria della Croce, nel centenario della sua nascita. Il libro è stato stampato dalla Tipografia Amaducci di Borgo a Mozzano. Uno dei titolari della tipografia, il compianto Luca Basili, era molto legato a Suor Ancilla e al Monastero "Regina Carmeli" di Lucca, di cui è stato sempre anche un benefattore.
Ci piace ricordare che il libro è uscito proprio nell'anno in cui si ricorda il V centenario di Santa Teresa di Gesù, fondatrice delle Carmelitane.
SEGUE IL TESTO, CHE SI APRE CON UNA PREFAZIONE DEL VESCOVO MONS. MANSUETO BIANCHI, SACERDOTE LUCCHESE, LEGATO A SUOR ANCILLA DA GRANDE FRATERNITA'.
La prefazione di Mons. Mansueto Bianchi
Sono felice che, vent’anni dopo la morte, il ricordo di Sr. Ancilla riemerga attraverso questo libro e non sia più, soltanto, un parlarne tra amici.
Scrivere un libro su di Lei vuol dire oggettivarne il ricordo, porre una memoria che vince la labilità del tempo, l’occasionalità ed il limite delle personali evocazioni.
È un atto di riconoscimento verso Sr. Ancilla che, certo, snobberebbe un gesto di questo genere, ma è soprattutto un atto di riconoscimento e di giustizia verso i doni di Dio che non possono rimanere soffocati o nascosti sotto il “moggio” delle nostre pigrizie, delle ingratitudini, delle dimenticanze.
Con questo libro una memoria viene posta, quasi a fissare l’orma del passaggio di Dio dentro i nostri giorni.
Le orme di Dio hanno nome e volto, sono vite di fratelli e sorelle.
Sr. Ancilla è stata questo modo misterioso ma realissimo, con cui il Signore “si accostò e camminava con loro” (Lc 24,15).
Quando queste cose accadono, per la concretezza, la ferialità di cui sono rivestite, appaiono quasi trascurabili, scontate, e noi, gabbiani grigi più attratti dai “sughi” delle discariche che dalla vastità del mare, le sfioriamo, le attraversiamo e non ce ne accorgiamo.
Ma la misericordia di Dio non si coniuga solo al presente ed al futuro, si coniuga anche al passato, abita i verbi dell’imperfetto. Per questo la memoria si accende e, come i due di Emmaus, (“non ci ardeva forse il cuore in petto, lungo la strada...?”), ti rendi conto che quel gesto, quella persona ha forato le foschia della scontatezza, le nubi della mediocrità triste, ed emerge, inondata dal sole, come certe vette sopra il mare di nebbia che copre il piano.
Per Sr. Ancilla accade così, e ce la ritroviamo accanto, ce la ritroviamo dinanzi con una nitidezza, una grandezza ed una luminosità che superano ciò che avvertivamo mentre camminava con noi.
I Santi abitano le frontiere. Non le retrovie paciose. Tengono insieme le estremità.
Così Sr. Ancilla coniugava l’altezza vertiginosa della esperienza mistica, con l’interesse e la cura delle vicende “piatte”, quelle quotidiane. Si interessava congiuntamente alle anime ed ai corpi, alla salute ed alla salvezza.
Ma, ancora, viveva rigorosamente nella solitudine e nel silenzio di un monastero carmelitano, ma attorno a lei rumoreggiava la vita, approdavano i problemi, si ancoravano le persone più diverse alla stabilità della sua amicizia, alla tenerezza della sua maternità.
Aveva un cuore che ardeva di amore per la Trinità, eppure si faceva solidale con i peccatori, abitava spiritualmente il gelo del tradimento e della profanazione, soprattutto da parte delle anime consacrate.
Ha portato dolori terribili nella psiche e nello spirito, eppure aveva due occhi ridenti, una gioia cristallina che le zampillava dentro, come un ruscello.
La sua stessa esperienza mistica ha toccato la vetta della visione e l’abisso della vessazione.
I Santi sono così: scontatamente normali, tanto da non accorgersene e straordinariamente debordanti, da farti venire i brividi.
Dilagano in tutta la geografia umana, per raggiungerla, conoscerla, assumerla, farla approdare nell’abbraccio della Trinità. Per questo anche il peccato più estremo non li dissuade, non argina l’onda ampia della misericordia. Molte pagine del libro che segue ci racconteranno questa verità.
Questo libro narra la traversata della vita, dell’esperienza mistica, del discepolato a Gesù di Sr. Ancilla, attraverso la penna di un suo “figlio”, per certi aspetti anch’egli straordinario: l’avvocato Giuseppe Bicocchi. L’aveva incontrata, l’aveva di nuovo cercata, ne era rimasto segnato. Soprattutto aveva intuito il significato ed il valore di questa singolare vicenda per la
vita cristiana, per il cammino della Chiesa. Per questo l’avvocato Bicocchi, con la lucida intelligenza di sempre, con la fede ferma che lo caratterizzò soprattutto negli ultimi anni della vita, aveva quasi compiuta la biografia spirituale di Sr. Ancilla. La chiamata del Signore alla pienezza della vita lo raggiunse prima di dare compimento a questa sua opera.
Oggi Gabriele Brunini, governatore della Misericordia di Borgo a Mozzano, rivede quel testo e lo sintetizza per una prima pubblicazione, perché la figura e la testimonianza di Sr. Ancilla sia conosciuta ed offerta ad una cerchia più ampia di fratelli.
L’augurio e la speranza è che il sorriso che brillava negli occhi di Sr. Ancilla, occhi che vedevano Dio nella fatica e nel chiaroscuro della Fede, possa sempre più intensamente brillare negli occhi della Chiesa che guarda ad ogni persona, ad ogni vita, con lo sguardo di Dio.
Roma, 14 novembre 2014
+ Mansueto Bianchi, Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana
L'Introduzione di Gabriele Brunini
Ci piace ricordare che il libro è uscito proprio nell'anno in cui si ricorda il V centenario di Santa Teresa di Gesù, fondatrice delle Carmelitane.
SEGUE IL TESTO, CHE SI APRE CON UNA PREFAZIONE DEL VESCOVO MONS. MANSUETO BIANCHI, SACERDOTE LUCCHESE, LEGATO A SUOR ANCILLA DA GRANDE FRATERNITA'.
La prefazione di Mons. Mansueto Bianchi
Sono felice che, vent’anni dopo la morte, il ricordo di Sr. Ancilla riemerga attraverso questo libro e non sia più, soltanto, un parlarne tra amici.
Scrivere un libro su di Lei vuol dire oggettivarne il ricordo, porre una memoria che vince la labilità del tempo, l’occasionalità ed il limite delle personali evocazioni.
È un atto di riconoscimento verso Sr. Ancilla che, certo, snobberebbe un gesto di questo genere, ma è soprattutto un atto di riconoscimento e di giustizia verso i doni di Dio che non possono rimanere soffocati o nascosti sotto il “moggio” delle nostre pigrizie, delle ingratitudini, delle dimenticanze.
Con questo libro una memoria viene posta, quasi a fissare l’orma del passaggio di Dio dentro i nostri giorni.
Le orme di Dio hanno nome e volto, sono vite di fratelli e sorelle.
Sr. Ancilla è stata questo modo misterioso ma realissimo, con cui il Signore “si accostò e camminava con loro” (Lc 24,15).
Quando queste cose accadono, per la concretezza, la ferialità di cui sono rivestite, appaiono quasi trascurabili, scontate, e noi, gabbiani grigi più attratti dai “sughi” delle discariche che dalla vastità del mare, le sfioriamo, le attraversiamo e non ce ne accorgiamo.
Ma la misericordia di Dio non si coniuga solo al presente ed al futuro, si coniuga anche al passato, abita i verbi dell’imperfetto. Per questo la memoria si accende e, come i due di Emmaus, (“non ci ardeva forse il cuore in petto, lungo la strada...?”), ti rendi conto che quel gesto, quella persona ha forato le foschia della scontatezza, le nubi della mediocrità triste, ed emerge, inondata dal sole, come certe vette sopra il mare di nebbia che copre il piano.
Per Sr. Ancilla accade così, e ce la ritroviamo accanto, ce la ritroviamo dinanzi con una nitidezza, una grandezza ed una luminosità che superano ciò che avvertivamo mentre camminava con noi.
I Santi abitano le frontiere. Non le retrovie paciose. Tengono insieme le estremità.
Così Sr. Ancilla coniugava l’altezza vertiginosa della esperienza mistica, con l’interesse e la cura delle vicende “piatte”, quelle quotidiane. Si interessava congiuntamente alle anime ed ai corpi, alla salute ed alla salvezza.
Ma, ancora, viveva rigorosamente nella solitudine e nel silenzio di un monastero carmelitano, ma attorno a lei rumoreggiava la vita, approdavano i problemi, si ancoravano le persone più diverse alla stabilità della sua amicizia, alla tenerezza della sua maternità.
Aveva un cuore che ardeva di amore per la Trinità, eppure si faceva solidale con i peccatori, abitava spiritualmente il gelo del tradimento e della profanazione, soprattutto da parte delle anime consacrate.
Ha portato dolori terribili nella psiche e nello spirito, eppure aveva due occhi ridenti, una gioia cristallina che le zampillava dentro, come un ruscello.
La sua stessa esperienza mistica ha toccato la vetta della visione e l’abisso della vessazione.
I Santi sono così: scontatamente normali, tanto da non accorgersene e straordinariamente debordanti, da farti venire i brividi.
Dilagano in tutta la geografia umana, per raggiungerla, conoscerla, assumerla, farla approdare nell’abbraccio della Trinità. Per questo anche il peccato più estremo non li dissuade, non argina l’onda ampia della misericordia. Molte pagine del libro che segue ci racconteranno questa verità.
Questo libro narra la traversata della vita, dell’esperienza mistica, del discepolato a Gesù di Sr. Ancilla, attraverso la penna di un suo “figlio”, per certi aspetti anch’egli straordinario: l’avvocato Giuseppe Bicocchi. L’aveva incontrata, l’aveva di nuovo cercata, ne era rimasto segnato. Soprattutto aveva intuito il significato ed il valore di questa singolare vicenda per la
vita cristiana, per il cammino della Chiesa. Per questo l’avvocato Bicocchi, con la lucida intelligenza di sempre, con la fede ferma che lo caratterizzò soprattutto negli ultimi anni della vita, aveva quasi compiuta la biografia spirituale di Sr. Ancilla. La chiamata del Signore alla pienezza della vita lo raggiunse prima di dare compimento a questa sua opera.
Oggi Gabriele Brunini, governatore della Misericordia di Borgo a Mozzano, rivede quel testo e lo sintetizza per una prima pubblicazione, perché la figura e la testimonianza di Sr. Ancilla sia conosciuta ed offerta ad una cerchia più ampia di fratelli.
L’augurio e la speranza è che il sorriso che brillava negli occhi di Sr. Ancilla, occhi che vedevano Dio nella fatica e nel chiaroscuro della Fede, possa sempre più intensamente brillare negli occhi della Chiesa che guarda ad ogni persona, ad ogni vita, con lo sguardo di Dio.
Roma, 14 novembre 2014
+ Mansueto Bianchi, Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana
L'Introduzione di Gabriele Brunini
"Per i santi, che sono sulla terra uomini nobili, è tutto il mio amore [Salmo 15]".
Suor Ancilla è la persona più “santa” che ho conosciuto nella mia vita.
Perché i santi ci sono ancor oggi ed in gran numero: vicini a noi, perfino simili a noi, eppure santi. Sta a noi cercare di riconoscerli, per quanto possibile, e rendere grazie al Signore, che solo compie il miracolo della santità: con almeno un po’ della limpida gioia di Maria che canta il Magnificat per le mirabilia Dei, per le “grandi opere” del Signore, invisibili ai più, ma reali e potenti.
Con queste parole Giuseppe Bicocchi (1943 - 2008), avvocato lucchese, amministratore, politico apprezzato, deputato e uomo di fede, inizia un testo, assai ampio e documentato che lo stesso aveva dedicato a Suor Ancilla Maria della Croce, al secolo Dora Motroni, carmelitana scalza del Monastero "Regina Carmeli" di Lucca, suora conosciutissima ed apprezzata, che il Bicocchi ha frequentato per un lungo periodo.
La prematura morte dell'autore ha impedito che il testo, non ancora completato e con diversi interrogativi lasciati aperti dall'autore stesso, fosse dato alle stampe.
Nel 2006 la Fraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano, paese di origine della famiglia di Suor Ancilla e nel quale la stessa visse prima di entrare nel Carmelo, decise di trasportare i resti mortali della suora, riesumati dal cimitero di S. Alessio, nel cimitero di Borgo a Mozzano; costituendo in quella occasione, per iniziativa dell' allora Governatore Agnese Garibaldi, che della suora fu sempre grande amica, un "gruppo di preghiera" intitolato proprio a Suor Ancilla. Gruppo che, in più occasioni, e particolarmente nell'anniversario della morte (17 dicembre), riunisce le persone che hanno conosciuto Dora, sia come giovane catechista impegnata nell'Azione Cattolica che come suora della contemplazione.
Ricorrendo nel 2014 il ventesimo anniversario della morte, avvenuta nel Monastero "Regina Carmeli" di Monte San Quirico il 17 dicembre 1994, la Misericordia ha deciso di pubblicare un testo in ricordo di Suor Ancilla, attingendo, con il permesso della famiglia, al lavoro, davvero impegnativo ed importante di Giuseppe Bicocchi, omettendo taluni giudizi o pensieri personali dell'autore, che lo stesso avrebbe potuto voler rivedere o completare.
Ho accettato, come Governatore attuale della Fraternita, il compito di predisporre questa pubblicazione, usando liberamente il materiale e le testimonianze già da molto tempo a nostra disposizione. Molti testi, solo manoscritti, forniti in particolare da Agnese Garibaldi, erano stati battuti ed archiviati dalla volontaria Rachele Tognetti, nel periodo di svolgimento del servizio civile presso la Misericordia. La gran parte di questa documentazione era stata messa anche a disposizione del Bicocchi, che aveva a lungo lavorato per la elaborazione di un libro.
Non posso pertanto esimermi, già in questa introduzione, dal citare alcune significative considerazioni dello stesso Giuseppe Bicocchi circa la figura di Suor Ancilla Maria della Croce, come quando scrive: "è per una necessità interiore che sentiamo sempre più impellente urgere dentro ciascuno di noi di rendere pubblica testimonianza non solo della grande incidenza che Sr. Ancilla ha avuto nella nostra vita ed in quella di molte altre persone, ma anche della sua personale “santità”, così come abbiamo avuto il privilegio e la gioia di sperimentarla: intendendo la parola “santità” in senso lato, come la finalità ultima di ogni cristiano, secondo il comando: «siate santi, perché io sono santo». Ed ancora: "Quello che più colpiva immediatamente in lei era la sua grande umanità, che si manifestava nell’incredibile luce dei suoi vivacissimi occhi e nella grande dolcezza del suo sorriso, che illuminavano un volto attento e partecipe, e ti facevano sentire davvero amato e prediletto".
Prosegue il Bicocchi: "Ricordo in particolare i suoi occhi: così limpidi, luminosi, vivaci e penetranti – ma con dolcezza e pudore, senza alcuna volontà invasiva, che ti entravano nell’anima e ti legavano a lei per sempre. Del resto, basta guardare la sua “immaginetta”, stampata dopo la morte, per rendersene direttamente conto, e per avere almeno una pallida idea di come fosse da viva". E più avanti: "Il suo vivo ed affettuoso interesse personale verso le tante persone che chiedevano di parlare con lei al parlatorio del Monastero del Carmelo di Monte S. Quirico di Lucca, era così genuino, profondo e vero, da lasciare dapprima sconcertati e quasi increduli, ma poi profondamente commossi e felici.
Ella ti comprendeva subito in profondità , aveva una conoscenza istintiva e “mistica” dell’altrui animo umano, del segreto dei cuori, che è un carisma tra i più belli di molti uomini e donne di Dio; e tu ti sentivi subito “conosciuto” fino in fondo: mai discusso o giudicato, ma accettato ed amato, come da una vera “madre”.
Beninteso, vedeva anche i difetti, i limiti, le colpe, i peccati, che intuiva con particolare sensibilità spirituale, anzi con dolorosa “mistica” partecipazione: ma se ne faceva ella stessa carico, nella ferma fiducia che, insieme, con l’aiuto di Dio, di Maria e dei Santi, fosse possibile uscirne, grazie all’amore ed ai patimenti del Signore, ed alla nostra (e sua!) partecipazione ad essi".
Bicocchi, nel testo a cui aveva lavorato, si sofferma su come ha conosciuto il Carmelo e Suor Ancilla: "Ho conosciuto Sr. Ancilla circa trenta anni fa quando, su insistente invito della sua più diretta amica e “discepola” Agnese Garibaldi, mi recai, con grande interesse – ma anche con qualche presunzione e titubanza – per la prima volta in vita mia in un Monastero di clausura: uno degli allora dieci (oggi otto) presenti intorno alla nostra città di Lucca, il Monastero delle Carmelitane di Monte S. Quirico. Ero appena di ritorno da una vacanza estiva con la famiglia all’isola di Samo, davanti all’isola di Patmo dove la tradizione dice che S. Giovanni abbia scritto l’Apocalisse. Tale vacanza era stata l’occasione per un’esperienza di grande importanza che incise profondamente nella mia vita: la scoperta di una delle vette della più alta spiritualità e mistica cristiana, attraverso la lettura integrale degli scritti di S. Teresa d’Avila, dichiarata, per la sua grandezza, dottore della Chiesa. Fu per me un’autentica, sconvolgente e gioiosa sorpresa: la scoperta di un grande, immenso tesoro, che la vita cristiana mette a disposizione per chi ha l’ardire di crederci e di provare a viverlo". E proseguendo accenna ai suoi primi incontri con Suor Ancilla; lui che nella società lucchese era un politico influente:
"Quando ho conosciuto Sr. Ancilla ero una “persona pubblica”, fortemente proiettata nell’impegno politico istituzionale. E la prima cosa che mi disse fu una citazione dal Vangelo di s. Giovanni, che a quel tempo non avevo ancora mai notata e tanto meno applicata alla mia vita e che da allora ha costituito un giudizio continuo del mio agire, portando alla luce la mia costante tentazione:- «E come potete credere voi che cercate la gloria per voi stessi, e non cercate la gloria che viene dal Padre mio che è nei cieli?» .
Fui scoperto e colpito fin dal primo incontro, poiché la suora aveva fatto centro sul punto più critico della mia personalità umana e cristiana. E credo che qualcosa di simile potrebbero confessare anche molte delle altre persone che lei ha seguito, “curato” ed amato".
Bicocchi descrive anche alcuni aspetti peculiari degli incontri con Suor Ancilla:
"Lei - scrive - era davvero l’accoglienza fatta persona nel parlatorio del Carmelo: disponibile ad ogni personale sacrificio per incontrarci, sempre però nel pieno rispetto delle regole, degli orari e dei tempi del Carmelo (soprattutto, per non turbare la vita regolare delle sorelle).
Ed era tipica di lei la grande concretezza, l’attenzione massima verso i problemi concreti dei suoi interlocutori, soprattutto quelli relativi alla salute fisica. Si interessava dei particolari della salute di ognuno di noi e di quella dei nostri cari, fin nei particolari: prima e quasi più che della vita spirituale. Penso perché della salute fisica poteva liberamente domandare, mentre per gli aspetti spirituali attendeva che ognuno si aprisse spontaneamente, per rispetto estremo della libertà.
Quante volte l’ho scherzosamente rimproverata, dicendo che non era il mio medico, e che avrebbe dovuto chiedermi piuttosto dell’andamento della mia anima, più che del mio corpo! Ma lei rideva e continuava per la sua strada: insegnandomi insieme attenzione agli altri, benevolenza ed umiltà: ed anche cos’è la concretezza dell’amore umano e cristiano, e perfino qualcosa dell’autentica mistica cristiana, che nella nulla trascura appunto del corpo, dei mille problemi della vita umana, degli affetti concretissimi in cui si esprime".
Leggendo il testo predisposto dal Bicocchi è evidente che lo stesso crede nella "santità" di Suor Ancilla, che ha così da vicino conosciuta ma, correttamente, scrive:
"Certo, è la Chiesa che, con le sue rigorose e giuste procedure canoniche, riconosce talora la “santità degli altari”, con i lunghi tempi di solito necessari.
Non posso e non voglio quindi anticipare in nulla tale giudizio ufficiale della Chiesa in ordine alla “santità” di Sr. Ancilla; ed anzi – come doverosamente una volta precisavano quasi sempre gli scrittori della vita di persone in fama di “santità” – mi rimetto fin d’ora, in tutto, al giudizio della Chiesa stessa che invito a correggere ogni aspetto di questo scritto che fosse ritenuto contrario al suo insegnamento o non sufficientemente prudente".
Ho accettato la sollecitazione a predisporre questa pubblicazione anche perchè Dora Motroni è stata carissima amica di mia madre Flora, che frequentava, nella Parrocchia di San Rocco di Borgo a Mozzano, i gruppi di Azione Cattolica diretti dal Parroco di allora, Don Amedeo Chicca, guidati proprio dalla futura Suor Ancilla. Anch'io, che avevo ascoltato spesso i racconti di mia madre sulla eccezionalità di questa donna di grande Fede e carisma, ho avuto modo di incontrare in qualche occasione Suor Ancilla; e ricordo di aver ricevuto spesso, anche come Governatore della Misericordia, qualche sua telefonata di augurio e di saluto, al mattino presto. "Quando voi vi svegliate - mi diceva con voce dolce, che faceva pensare al suo bel sorriso - io ho già pregato tanto per tutti voi e per la gente del Borgo che non ho mai dimenticato".
Mia madre, tra i suoi ricordi più cari, ha sempre conservato un libro dal titolo "Storia di S. Teresa del Bambino Gesù ossia la "storia di un'anima" - autore P. Francesco Saverio di S. Teresa Carmelitano Scalzo - edito a Milano nel 1926 dalla Casa Editrice S. Lega Eucaristica; sono andato a riguardarlo e tante frasi, molto particolari, sono sottolineate a lapis; ho la sensazione, anzi certezza, che quel libro sia stato di Dora Motroni.
Mi auguro che questa pubblicazione serva per ricordare alla comunità di Borgo a Mozzano una storia troppo dimenticata: quella che, nel nostro paese, fino al 1947, c'è stato un "cenacolo" di preghiera e di meditazione, rappresentato dal Monastero di S. Teresa, posto in località "venezia", in un palazzo che fu nobiliare e poi, con la partenza delle suore, sede di una fabbrica famosa per il nostro territorio, come le "Ceramiche Fontanini", che offrendo lavoro a tante maestranze, soprattutto femminili, contribuì assai a ridurre la miseria del dopoguerra e concorse a quella ripresa economica e a quel benessere che, oggi, purtroppo, sembra nuovamente insidiato.
Mi auguro anche che serva a ricordare, ai borghigiani e ad una platea più vasta, composta da tutti coloro che hanno conosciuto la figura carismatica di Suor Ancilla, oltrechè alle consorelle del Carmelo di Lucca che con lei hanno condiviso la preghiera e la meditazione, una figura che giudichiamo meritevole di non essere dimenticata; per il bene che ha fatto in vita con la sua preghiera e per il bene che potrà fare dal Cielo.
IL MONASTERO DELLE TERESIANE
Non tutti sanno che, fino al 1947, a Borgo a Mozzano, è esistito un
Monastero di clausura delle carmelitane scalze, figlie di S. Teresa d’Avila.
Il monastero si trovava nella parte nord di Borgo a Mozzano, lungo la via principale, in un grande edificio che le monache acquistarono dal Barone Tossizza, che era chiamato “palazzo del turco”; forse il nome assai bizzarro di quella zona di paese, denominata "turchia", derivava proprio dall’appellativo di quel palazzo. Oggi l’edificio, completamente ristrutturato, è adibito ad appartamenti; dopo il 1947, anno del trasferimento a Lucca (avvenuto il 10 luglio 1947), fu sede della fabbrica di ceramiche e presepi Fontanini che dava lavoro a tanta gente, soprattutto donne.
Francesco Maria Pellegrini, nel suo libro “Borgo a Mozzano e Pescaglia nella storia e nell’arte”, ci dice che quel palazzo “dove risiedono le Teresiane fu già dei Sigismondi, poi Santini e poi del Barone Tossizza di Livorno, che aveva una grande fattoria a Domazzano”.
La comunità delle monache era nata a Camaiore nel 1588, quando alcune giovani desiderarono fondare un monastero di clausura. A causa di difficoltà burocratiche, che evidentemente non mancavano anche nei secoli passati, fu aperto prima un “conservatorio” per fanciulle povere, che divenne poi una “Congregazione dei SS. Nomi di Gesù e Maria”.
Desiderando però, fortemente, di avere la clausura, dovettero riconoscersi in un "ordine" già esistente e fu scelto, per ispirazione della venerabile Suor Cherubina dell’Agnus Dei, la Regola di S. Teresa, ottenendo così la Bolla di erezione da Papa Urbano VIII il 21 novembre 1633; la comunità era così divenuta Carmelo Teresiano.
Con la soppressione napoleonica del 1806 le Carmelitane furono espulse dal monastero di Camaiore e dovettero unirsi ad altre monache di Lucca, finché poterono ricostituire la comunità, grazie alle decisioni assunte dalla Duchessa Maria Luisa di Borbone che, nel 1821, concesse loro il Conservatorio di Santa Francesca Romana delle Olivetane, a Borgo a Mozzano, in via Roma, oggi sede del Circolo “Unione”; nel frattempo alcune sorelle si recarono nel vecchio monastero di Camaiore, chiamate da alcune giovani che volevano ripristinare la vita carmelitana in quel luogo.
Sempre Il Pellegrini ci parla del Conservatorio di via Roma “fondato per le fanciulle del paese con testamento del Rev. Giov. Battista Mattioli, nativo del Borgo (era di Oneta) e vissuto a Roma. Il contratto del lascito fu rogato proprio a Roma il 12 gennaio 1673 ed a quello si aggiunse il lascito della sorella. Fu così costruito il monastero colla chiesa, che venne aperta al culto nel 1756”.
Con le vicende seguite all’invasione francese il monastero fu definitivamente soppresso dai Baciocchi nel 1810. “Rivisse in seguito con le Teresiane – dice ancora il Pellegrini – con clausura e con educande”.
Undici furono le monache che si stabilirono a Borgo a Mozzano nel 1821, a cui si aggiunsero anche una agostiniana e una benedettina; Donna Maria Teresa Sardi ottenne da Roma il permesso di “vestire” e di mettere la clausura. Nel 1835 fu concesso il decreto di erezione del nuovo monastero di S. Teresa in Borgo a Mozzano.
Seguirono altri momenti difficili, per le soppressioni promosse dal neonato Regno d’Italia nel 1866, finché, nel 1888, le monache riuscirono a stabilirsi, finalmente, nel “palazzo del turco”, in località “venezia” e intitolarono la chiesetta al Cuore Santissimo di Gesù.
Nel 1912 l’Arcivescovo di Lucca, Mons. Marchi, concesse alla comunità di osservare in tutto la “Regola Riformata di Santa Teresa” e, da quel momento, le vocazioni non mancarono più.
Le monache vivevano in estrema povertà; i locali del monastero erano malsani e le consorelle si ammalavano continuamente, anche in modo grave. Per questo motivo, nel 1947, decisero trasferirsi a Lucca, vendendo l’immobile ai fratelli Fontanini. Oggi il monastero delle Teresiane è nella villa Orsetti di Monte San Quirico e si intitola “Regina Carmeli”.
In quel luogo sono vissute e morte le due ultime monache originarie di Borgo a Mozzano, che molti di noi hanno conosciuto ed apprezzato per la loro bontà e la loro Fede: Suor Ancilla Maria della Croce, al secolo Dora Motroni e Suor Maria Gemma di Gesù Bambino, al secolo Maria Palagi. Entrambe sono sepolte nel cimitero di Borgo a Mozzano.
Le monache del “Regina Carmeli” di Monte San Quirico, all’attualità, sono tutte socie della Fraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano.
Un’ ultima curiosità: il Pellegrini, nel suo libro, ci dice che “nella cappellina delle Teresiane esiste il quadro di S. Francesca Romana di Giuseppe Antonio Luchi di Diecimo, detto anche “il Diecimino”. Questo quadro non è più nella disponibilità delle Monache del “Regina Carmeli” di Lucca e stessa sorte ha avuto anche la statua in gesso di S. Teresa d’Avila, realizzata dallo scultore borghigiano Ubaldo Del Guerra, di cui si è rintracciato una cartolina.
La vita di Suor Ancilla
1. Fino all’ingresso nel Carmelo (1915-1944)
Suor Ancilla Maria della Croce, Dora Motroni, nacque il 29 aprile 1915 a Holyok negli USA. I suoi genitori Alberto Motroni e Caterina Orsini furono fra i tanti italiani che in quei tempi, anche dalla Lucchesia ed in particolare dalla Valle del Serchio e dalla Garfagnana, emigrarono, per cercare lavoro, nella “favolosa” America (in questo caso del Nord, ma più spesso del Sud).
Prima di Dora, era nato Luigi, poi “disperso” nella tragica campagna di Russia del 1941/43; e dopo di lei, nacque Vera, che morì in tenera età (sembra a tre anni) e Mario (nel 1919). Dora raccontava di aver avuto un’infanzia serena, anche se la mamma aveva molte cose da fare e non sempre poteva accontentarla e portarla fuori. Lo zio aveva una pasticceria, la sera portava loro quanto era avanzato nel negozio: dolci e gelato in quantità, cui i ragazzi facevano gran festa. Ed una zia la portava a volte in campagna, dove aveva un frutteto con tante mele, molto belle.
Il padre, che era sarto, si era intanto fatto, con il suo modesto lavoro, un’ottima posizione, che assicurava alla famiglia un’esistenza serena e perfino agiata.
Nel 1925, quando cioè Dora aveva dieci anni, tornò, con la mamma e i fratelli, in Italia, a Borgo a Mozzano (Lucca), paese di origine dei due genitori, perché il padre voleva che i figli studiassero in Italia, dove lui pure sperava di tornare in futuro.
Dora, che parlava inglese, all’inizio fece fatica ad ambientarsi a scuola, ma poi divenne brava proprio in italiano. Il padre aveva affidato i figli al proprio fratello Cherubino e questi – secondo la mentalità di allora – non ritenne necessario far fare a Dora un corso di studi normali, ma le fece studiare il pianoforte (fece così anche con la sua figlia Norma). Di questa circostanza Sr. Ancilla parlò più volte con rammarico: non riferito tanto a se stessa, quanto al fatto che, per questo, non poté far nulla successivamente per aiutare la famiglia nel momento del bisogno.
Sembra quindi che abbia fatto solo gli studi elementari e forse l' "avviamento" che erano le “medie” di allora, ma non oltre. Quindi la formazione scolastica di Dora fu molto limitata ed oggettivamente carente. Ma la sua intelligenza e vivacità umana e spirituale, supplirono abbondantemente. E Sr. Ancilla, per chi la frequentava, non appariva affatto una persona illetterata ed “ignorante”ma, al contrario, una donna saggia e sapiente, soprattutto di profonda cultura biblica. Tutti i testimoni concordano nel ritenere la conoscenza biblica il primo nutrimento della sua spiritualità: “si nutriva assai della Parola di Dio, soprattutto dei Vangeli e delle lettere di S. Giovanni Apostolo e dopo anche di S. Paolo”. Le citazioni bibliche, semplici e vissute, erano continue sulla sua bocca. Leggeva e rileggeva il Nuovo Testamento ed i Salmi. Il libro con i salmi divenne un carissimo amico per lei, che lo aveva sempre in mano, insieme al Nuovo Testamento della Bibbia di Gerusalemme. Questi testi erano la fonte di tutte le sue riflessioni e all’orazione, aveva sempre in mano questi due volumi. Si riteneva povera di memoria fin dall’infanzia, tanto da far fatica ad imparare le poesie, ma stupiva sentirla citare la Parola di Dio, talvolta per interi brani, come se avesse avuto il testo sotto gli occhi. Parlava con insistenza dell' amore personale di Gesù per ciascuno di noi, sulla lotta che ci fa il diavolo “inimicus homo”, sulla promessa del paradiso.
“Aveva veramente il Vangelo nel cuore” si afferma nel suo necrologio. E molti ricordano che quando citava parole e frasi della Bibbia, in particolare del Nuovo Testamento, diventava luminosa, tanto era il suo coinvolgimento spirituale in quel che diceva.
Ma torniamo alla vita di Dora. Il padre continuò a lavorare negli USA per assicurare tutto il necessario alla famiglia; ma, forse anche per l’eccesso di lavoro, dopo qualche anno ebbe un infarto, fu costretto a cessare la propria attività lavorativa e tornò anche lui in Italia a Borgo a Mozzano. Non sappiamo esattamente l’anno del suo ritorno; ma, essendo stato malato circa dieci anni ed essendo morto il 3 novembre 1942, è presumibile che sia tornato circa nel 1931-32.
Per la famiglia Motroni – che aveva vissuto fino allora serenamente e perfino con agiatezza – cominciò un periodo tremendo di grandi difficoltà economiche, di sofferenza e di prove. Il patrimonio familiare, frutto del lavoro e del sacrificio in terra americana, fu letteralmente consumato per medici, medicine e operazioni (allora si doveva pagare tutto). Fu ritenuta necessaria anche un’operazione alla tiroide. Il padre, nella speranza di riprendersi in salute e poter così lavorare per la famiglia, volle operarsi a Firenze. Per assisterlo Dora andò a Firenze, ospite di una parente, molto avara, presso la quale quasi soffrì addirittura la fame.
Anche a casa, erano aumentate le difficoltà sul piano economico. Il medico del Borgo, imprudentemente, prescrisse al babbo, come calmante dei dolori, una sostanza stupefacente; il babbo si intossicò e non poté più farne a meno, aggravando la propria situazione economica. Così la famiglia passò in breve tempo da uno stato di agiatezza ad una situazione di vera povertà.
In queste condizioni Dora, che pur sentiva urgente la vocazione al Carmelo fin dalla giovinezza, dovette rimanere per ben altri dieci anni accanto alla mamma, aiutandola nell’assistenza del padre, fino alla sua morte.
Il fratello Luigi volle fare l’università e si laureò in Economia e commercio, consumando così interamente la dote che il padre aveva destinato a Dora. Si sposò a Pola ed ebbe due figli; Alberto e Giovanna, che Sr. Ancilla amò teneramente. Poi Luigi andò militare e finì tragicamente “disperso in Russia”.
Il fratello Mario divenne pilota nell’aeronautica miliare, fino alla pensione. Dora era quindi sola con la mamma ed il babbo ammalato, mentre la situazione economica si faceva sempre più drammatica.
Sr. Ancilla raccontava che alcune persone, al corrente della situazione, l’aiutavano con vari doni, anche in natura. La superiora della Clinica Barbantini e Mons. Renieri, proposto di Bagni di Lucca, le riempivano le borse di roba. Il parroco Don Amedeo Chicca, Rettore della Parrocchia di San Rocco di Borgo a Mozzano, andava a trovare il babbo malato e metteva furtivamente sotto il cuscino il caffè che aveva portato sotto il mantello.
Sr. Ancilla, quando raccontava queste cose aveva gli occhi pieni di lacrime e diceva: «povero papà, quante umiliazioni!» e «come lo ha umiliato il Signore» (sempre guardando agli altri e non a se stessa).
Il padre restò a lungo in carrozzella, lei lo portava un po’ fuori per distrarlo e fargli prendere un po’ d’aria. Faceva quindi una vita molto faticosa. La mamma, a sua volta, soffriva di coliche epatiche, e non poteva nemmeno curarsi come sarebbe stato necessario.
Il padre morì il 9 novembre 1942. Fu un grande strappo per Dora, che ne soffrì molto.
Don Giuseppe Favilla, che le voleva bene ed era un po’ a conoscenza della sua situazione economica e spirituale, la ospitò a casa sua, a Lucca, dove aveva una donna fedele e fidata, che è poi rimasta molto affezionata a Sr. Ancilla.
Poco dopo un anno dalla morte del padre, e nonostante la situazione della famiglia fosse ancora molto penosa, Dora ritenne di non poter procrastinare oltre la sua risposta positiva alla vocazione del Signore. Così, d’intesa con le monache, il 2 febbraio 1944, senza dire nulla a casa, baciati teneramente, con tutto il cuore, i due nipoti, andò alla Messa al Carmelo, non tornò a casa, ma andò in clausura ed iniziò la sua vita religiosa.
La mamma, che era rimasta sola con la nuora, moglie di Luigi, ed i due nipotini piccolissimi, corse, come fuori di sé, al Monastero.
Veramente la situazione della famiglia era grave e molto triste: con i due fratelli Luigi in Russia e Mario pilota militare in piena guerra mondiale. Lo strazio per la decisione presa fu grande, e fu solo per vera obbedienza alla volontà di Dio che Ancilla ebbe la forza, con la grazia di Dio, di resistere alle preghiere della madre.
Sono queste le scarne notizie biografiche al momento reperibili su Dora e la sua famiglia, tratte direttamente e quasi letteralmente da due documenti, sui quali ritorneremo spesso e che sono fondamentali per tutta la nostra trattazione: il “necrologio” ufficiale in morte di Sr. Ancilla – una specie di “lettera circolare”, inviata dopo la sua morte dal Monastero Regina Carmeli (perché è prassi antica che ogni Carmelo dia notizia ai Carmeli collegati del decesso di ogni monaca, tracciandone anche un profilo spirituale) – e soprattutto la relazione redatta da Madre Teresa del Carmelo di Monte S. Quirico, sulla vita e sulle virtù di Sr. Ancilla. Su quanto finora detto, non sembra sussistano problemi o diversità interpretative: non solo nelle due “fonti” sopra ricordate, che sono del tutto omogenee e costituiscono quasi un’unica fonte; (del resto, lo stesso “necrologio” è dovuto essenzialmente a Madre Teresa); ma anche nelle altre testimonianze, più limitate e puntuali, essenzialmente centrate sulla “eccezionalità” dell’esperienza spirituale di Dora giovane.
Più articolato e complesso si presenta invece l’aspetto della vita spirituale di Dora nella sua giovinezza, ed in particolare nel decennio anteriore al suo ingresso al Carmelo (perché di quel periodo sappiamo poco o nulla, con riferimento cioè all’infanzia e all’adolescenza).
«La vita di Dora al Borgo era quella normale per le ragazze bene della sua età»: così si esprime il “necrologio”. Aveva care amiche, frequentava assiduamente la propria chiesa, (la parrocchia di S. Rocco) e si confessava dal parroco, D. Amedeo Chicca. Faceva parte dell’Azione Cattolica Femminile, di cui divenne una dirigente. Nel tempo di cui poteva disporre, percorreva in bicicletta le strade di campagna e di montagna, per raggiungere le parrocchie anche lontane; i parroci la stimavano e le giovani la seguivano ed ammiravano molto.
Tutti confermano la sua ineccepibile bontà e generosità, l’impegno apostolico, la vita di preghiera prolungata ed anzi costante, il grande apprezzamento da parte dei sacerdoti e delle ragazze della zona.
Anzi, il dato di fatto certo e confermato da tutte le testimonianze, è il giudizio comune, la vox populi che considerava Dora giovane già come una “santa”. La chiamavano, infatti, “la nostra santa”. Madre Teresa stessa, nella sua relazione scritta in gran parte sulla base di confidenze di Sr. Ancilla, precisa che «ella, a ventitre anni, pregando in chiesa (probabilmente nella chiesa di San Rocco), ebbe la prima "estasi", che "lei stessa - come riferisce Giuseppe Bicocchi, che su questo punto aveva ricevuto una confidenza di Sr. Ancilla - non sapeva cosa fosse". Ovviamente di questo fattone parlò al confessore e da qui iniziò la “fama di santità” di Dora: perché il confessore e parroco di S. Rocco (Don Chicca), che il Bicocchi definisce "un sant’uomo, ma poco preparato a guidare le anime in questi casi, anziché nascondere la ragazza il più possibile, lasciò che la cosa si sapesse e si vedesse quando le accadeva di avere estasi in chiesa alla presenza di altre persone". Dice ancora Madre Teresa: «Questi avvenimenti, è ovvio, vennero risaputi e intorno alla ragazza si fece un gran parlare ed ancor di più le ragazze di Azione Cattolica correvano quando c’era lei. Dora soffriva molto di queste cose e avrebbe voluto scomparire». E le giovani di Azione Cattolica «venivano numerose perché, oltre al contenuto ricco delle sue conferenze, la fama della … santa attirava».
E questi fatti, di cui oggi mi trovo a scrivere, mi sono stati più volte confermati anche da mia madre Flora.
La sua salute già allora, non era molto buona e Dora, sempre molto impegnata, fu colpita da un’infiammazione polmonare. Non avendo i mezzi per andare in montagna, fu mandata in un paesino un po’ più in alto del Borgo, ma sempre nella zona.
Così parimenti viene raccontata da Madre Teresa la presenza a Lucca, ospite di Don Giuseppe Favilla, dopo la morte del padre: «Là cercavano di … ricostituirla un po’, ma purtroppo Don Giuseppe, come anche Don Chicca, non era molto pratico di fenomeni straordinari, né del modo di trattare chi ne era favorito. Così, mentre nel vitto cercava di darle quanto necessario, per un errato riguardo al suo stato spirituale, la faceva stare in chiesa (la chiesina della Rosa, di cui era rettore) a nottate intere. Chiudeva la porta la sera e la riapriva la mattina».
Purtroppo anche nella chiesina della Rosa ,(già frequentata da S. Gemma, che morì lì vicino!) «quando Dora pregava e andava in estasi, i familiari di Don Giuseppe andavano a vedere lo spettacolo, come nella chiesa parrocchiale di S. Rocco, e le sono state fatte molte foto in questo stato!».
Commenta il Bicocchi: "E' vero che l’atteggiamento ufficiale della Chiesa è di solito molto prudente rispetto alle “grazie straordinarie” ed ai “carismi eccezionali; per cui si ritiene necessario evitare ogni “spettacolarizzazione”di questi doni; pur tuttavia non possiamo giudicare lo stato d’animo dei presenti. Anche avere fatto qualche foto può essere un regalo per noi e per i posteri". Il giudizio del Bicocchi su questo punto è che "i carismi eccezionali, quando sono autentici, sono per il bene della Chiesa, degli altri, dei testimoni, di tutti noi". E quindi non è necessariamente un male che essi siano conosciuti, almeno se ciò accade con la dovuta prudenza e con la stessa prudenza se ne scrive, così come capita di fare in questa occasione.
Del resto, pochi decenni prima, lì vicino, gli ospiti di Gemma, i Giannini, hanno provvidenzialmente assistito alle sue “estasi” e ne hanno lasciato la documentazione, scritta e fotografica.
Comunque di fronte agli episodi "straordinari" lo stesso confessore e padre spirituale di Sr. Ancilla nel Monastero, il Carmelitano P. Tarcisio Ancilli, imporrà una rigida consegna del silenzio e della riservatezza.
Commenta ancora Bicocchi: "Del resto, anche Gemma chiedeva, con insistenza quasi ossessiva, a Mons. Volpi di poter essere “chiusa” in un Monastero di clausura, possibilmente passionista: ma era pronta ad andare ovunque, pur di essere sottratta al “mondo”.
Negli anni della giovinezza di Dora, grazie allo zelo dei sacerdoti del tempo, a Borgo a Mozzano ci fu una grande fioritura di vocazioni. Uno studio più articolato della vita e spiritualità del tempo potrebbe fornire spunti interessanti, come pure una storia del Borgo come “terra di santi”, antichi e moderni.
2. Nel monastero del Borgo (1944 - 1947)
Il Monastero delle Carmelitane di Borgo a Mozzano era povero ed umile, addirittura insalubre: e di una povertà così vera che implicava spesso anche la fame.
È questa una realtà assurda, che si verifica però ancora oggi, naturalmente in misura relativa all’attuale benessere. È un fatto grave, infatti, che le Comunità cristiane si disinteressino troppo spesso delle necessità materiali dei monasteri di clausura femminili, che ancora – grazie a Dio! – non solo esistono, ma spesso hanno anche generose vocazioni.
I loro impegni di preghiera rendono molto limitati gli spazi per un’attività lavorativa rivolta all’esterno: e l’assistenza alle sorelle anziane costituisce oggi un lavoro non indifferente.
I monasteri, nella quasi totalità, non hanno alcuna fonte di reddito, tranne le pensioni sociali delle monache anziane. E devono non solo assicurare la sopravvivenza delle monache, ma soprattutto provvedere alle costose manutenzioni degli edifici residenziali. Così si affidano alla carità della popolazione; ma essendo di clausura, non possono far altro che attenderla e spesso invano. È vero che sono comunque sopravvissute fino ad oggi perché c’è la Provvidenza, ma le difficoltà continuano ad essere grandi, ogni giorno. Su questo punto Bicocchi aggiunge: "Purtroppo la presenza e l’importanza dei monasteri di clausura è ormai poco compresa dai cristiani, forse anche dal clero e, talora, perfino dalla gerarchia. L'esistenza dei monasteri di clausura è spesso addirittura ignorata dalla popolazione e dai cristiani stessi. Quanti sanno che a Lucca vi sono ancora ben sette monasteri di clausura femminile? Quanti si preoccupano della loro sopravvivenza? Quanti li considerano come un punto di forza della comunità ecclesiale diocesana, una ricchezza grande sul piano spirituale? E’ importante far crescere la solidarietà ai poveri, anche nel mondo; ma prima occorre essere responsabili in casa propria. E, nella famiglia ecclesiale, le monache di clausura sono le vere povere; ma la loro preghiera è indispensabile".
Nel Carmelo del Borgo in cui Dora entrò il 2 febbraio 1944 era priora Madre Maria Gemma di Gesù Bambino, già gravemente malata per un cancro al seno: una suora molto energica e profondamente innamorata del carisma carmelitano. A Dora, appena entrata, senza tanti complimenti, disse subito: «Si ricordi» (allora le monache si davano del lei entro il Monastero) «che chi fuori è stato una stella, in monastero è una lucciola». Ciò per insegnarle l’umiltà come reazione alla fama di santità che circondava Dora. Come si racconta nel necrologio la priora "temeva che la giovane si fosse esaltata". Anche questo è normale nel racconto della vita di tanti santi; ed era la dura prassi dei monasteri per insegnare l’umiltà e l’obbedienza.
Tuttavia, sia la Madre che le altre monache accolsero Dora con grande carità, che era l’impronta data dalla Madre al Carmelo. La povertà era grande ed il cibo assai grossolano e, per andare avanti, le monache dovevano anche lavorare molto per i sacerdoti della zona. Le parrocchie dei paesi vicini portavano la biancheria che, dopo essere lavata, doveva essere inamidata e stirata con i ferri scaldati sulla brace. Dora, incaricata appunto della stiratura, lavorava con un’altra monaca che, abituata al lavoro manuale fin da piccola, non si rendeva conto della fatica di Dora. Lei era proprio stanchissima, anche perché era arrivata al monastero molto provata ed assai esaurita.
Come aiuto della Madre Priora, che era anche maestra delle novizie, c’era anche Sr. Anna di Gesù - al secolo Maria Sperello (1912 - 2007). Sr. Anna diventerà amica, protettrice e discepola di Sr. Ancilla, accompagnandola con affetto e devozione, per tutta la vita (ed anche dopo), conservandone devotamente la memoria, fino alla propria morte. Sr. Anna vedeva che Dora lavorava oltre le sue possibilità e che l’alimentazione del monastero era insufficiente e poco adatta. Allora, essendo pratica di cucina, la sera, quando tutte le sorelle si erano ritirate, cucinava delle torte e le faceva mangiare a Dora per integrare l’alimentazione. In seguito, quando Sr. Anna diventò priora, si faceva comprare da un’amica del cioccolato per darlo alla ragazza.
A causa del lavoro e soprattutto per la sua debolezza strutturale e per le più o meno misteriose malattie sempre presenti nella sua vita, Dora era sempre molto stanca e soffriva di mal di testa. Così, quando alla sera andava nella sua povera cella, si rivolgeva alla Madonna, chiedendo che le prendesse la testa tra le mani e se l’appoggiasse sul petto. Di sicuro Sr Ancilla recitava una stupenda preghiera alla Madonna che insegnò a tanti e che tanti ripetono spesso: «Mamma a te mi affido, di te mi fido, in te confido. Mamma pensaci tu».
L’anno del postulato stava passando. Allora le giovani dovevano fare solo sei mesi di probandato e poi vestivano l’abito, ma la Madre Priora teneva tanto a fare la vestizione di Dora che, nella speranza di stare un po’ meglio, fece passare un anno intero. Sr Anna ad un certo punto disse alla Priora che non si poteva più attendere e si mise lei stessa a tagliare e cucire l’abito per Dora. Questa si preparò con un ritiro “sui generis” passato in gran parte nella cella della povera Madre che stava molto male ed aveva bisogno di stare completamente al buio perché la luce la faceva soffrire. Così Dora, lì al buio, facendo compagnia alla Madre, passò gli otto giorni di ritiro. Alternandosi un po’ con Sr. Anna, l' assisteva, cercando di lasciare Sr. Anna più libera che fosse possibile per le molte cose che doveva fare, ed anche perché Sr. Anna, che era l’infermiera, continuamente anche di notte, ogni due ore, puliva la piaga orrenda della povera monaca che continuamente si riempiva di pus.
La mattina del 15 febbraio 1945, nel coro della cappella del monastero del Borgo, Dora ricevette il santo abito ed il nome nuovo di Sr. Ancilla Maria della Croce. La di lei mamma assisté dalla chiesa e così anche i nipotini, ma non videro quasi nulla, perché allora la grata era fitta e c’era poca luce. La mamma, poveretta – che quando Dora entrò al monastero, andando al parlatorio, afferrata la grata, la voleva scardinare – al momento della vestizione si era ormai rassegnata, nonostante che la sua situazione familiare continuasse ad essere assai penosa.
In noviziato Sr. Ancilla si trovò con una sorella conversa, Sr. Maria del Sacro Cuore e alla fine del novembre 1946, entrò anche un' altra giovane di 23 anni di Borgo a Mozzano (Maria Palagi, figlia di Francesco e Corinna).
Durante l’anno di noviziato continuò nel lavoro della biancheria e dell’assistenza alla Madre Priora, che peggiorava ogni giorno. Questa, un giorno in cui Sr. Anna e Sr. Ancilla erano vicine al suo letto, presa una mano dell’una ed una dell’altra, le unì e le tenne unite, a significare che dovevano aiutarsi per sempre. Fu un gesto molto significativo, dal valore simbolico e quasi profetico: perché così in effetti è stato per tutta la loro vita. La Madre (Maria Gemma) infatti era sì modestissima, ma conosceva bene la situazione e le persone. A Sr. Anna disse che, quando lei non ci sarebbe stata più, dovevano portare altrove il monastero perché lì in Borgo, con la tremenda umidità che c’era, la comunità sarebbe finita. Sr. Anna e Sr. Ancilla si sono sempre molto aiutate, anche nel trattare gli “affari” della comunità. Sr. Ancilla era allora ancora di “velo bianco” ossia non aveva ancora fatto la professione perpetua; però, avendo molta intelligenza e buon senso, fu, per Sr. Anna, di molto aiuto.
La povera Priora – morì nel giugno 1945. Sr. Anna era stremata per la lunga assistenza durata ben dodici anni e le monache le dettero un tempo di riposo, perché intendevano eleggerla priora. Sr. Ancilla, anche lei assai stanca, continuò il suo solito lavoro.
Il 16 febbraio 1945, Sr. Ancilla emise la professione temporanea per tre anni: dopo aver non poco trepidato per il timore che la comunità non la ammettesse ai voti per i problemi di salute. Anche se quel giorno era feriale, lei disse che ne era contenta più che se fosse stata una solennità.
Fece la professione nelle mani di Sr. Anna, che nel frattempo era stata eletta Priora. Nei confronti di Sr. Ancilla, Madre Anna continuò l’attenzione e l’assistenza, anche con più libertà e possibilità. La sorvegliava, specialmente durante la preghiera e l’adorazione, per evitare che le monache la vedessero mentre andava in estasi. Così nella notte del giovedì santo – nella quale veniva fatta l’adorazione per tutta la notte – la nuova Priora si metteva sempre in turno con Sr. Ancilla per lo stesso motivo.
Commenta il Bicocchi: "Questi semplici fatti indicano che i fenomeni carismatici di Dora proseguirono anche dopo l’ingresso nel Monastero, almeno nei primi anni. In particolare è testimoniato l’accentuarsi di tali fenomeni nei momenti più solenni dell’anno liturgico, come la veglia del giovedì santo e la partecipazione alla passione del Signore. Questi “speciali” carismi venivano occultati anche alle altre monache, oltre che all’esterno: sia per l’impostazione generale della spiritualità carmelitana in proposito, sia forse per evitare critiche di qualche sorella; cosa possibile anche nei monasteri".
Intanto in Madre Anna e nelle monache maturava il progetto di cambiare ubicazione al monastero e si misero alla ricerca di un luogo adatto. Erano lontane dall’idea di poter costruire un monastero ex novo e quindi la Priora cominciò a girare cercando quanto poteva essere adatto per trasferirvi la comunità. Tutte le fatiche e le alterne speranze e delusioni di quel tempo sono scritte nella “cronistoria” del monastero, che ne registra i momenti salienti. Finalmente, per l’interessamento di Mons. Francesco Simi, parroco di Pescaglia , sacerdote affezionatissimo delle monache e loro confessore, ci si orientò per la ex villa Orsetti di Monte S. Quirico, messa in vendita dalla Contessa Ersilia, unica erede degli Orsetti. Non c’erano soldi, perché dalla vendita del convento del Borgo avevano preso ben poco. Comunque Mons. Simi si preoccupò di trovare il denaro che poi fu, un po’ alla volta, restituito. Ma la Villa Orsetti era ridotta malissimo, c’ era sudicio ovunque, perché vi era stata, per un certo tempo, una banca di Livorno, poi c’erano passati i soldati durante la guerra. Insomma, il tutto faceva davvero pietà.
3. Nel Carmelo di Monte S.Quirico (1947 – 1954)
Il 10 luglio 1947 il primo drappello di 4 monache arrivò a Monte S. Quirico. Tra queste c’erano la Priora Sr. Anna, Sr. Ancilla professina, Sr. Gemma novizia da una settimana e Sr. Agnese, una monaca molto forte e resistente al lavoro. Si misero di buona lena a dare una pulita alle stanze, con grande fatica e sacrificio perché non c’era l’acqua ed erano vestite con gli abiti in uso allora, di grezza e pesante lana. Fatiche su fatiche e tanta povertà. Avrebbero dovuto fare una recinzione con un muro, che allora era obbligatorio per poter stabilire la clausura; ma non avevano denaro e così rimasero diversi anni senza clausura. Era Provinciale dei cappuccini, in quel tempo, Padre Alberto, che ebbe grande affetto e stima per quelle povere monache. Fu lui che un giorno disse a Madre Anna di farsi aiutare in tutto da Sr. Ancilla Maria, sebbene fosse ancora “professina di velo bianco”. La Priora ricorreva già molto a lei, ritenendola la più capace di parlare con le persone con cui avevano tante questioni da trattare.
I primi anni dopo il trasferimento furono anni carichi di fatiche e di tanti dispiaceri, a causa della disonestà di molti che, approfittando della inesperienza delle monache, le misero spesso di mezzo, danneggiandole fortemente. Anche queste cose sono scritte nelle "cronache" del monastero; e sono purtroppo storie comuni ancora oggi, nei concreti rapporti di molti monasteri e conventi con amici e consulenti troppo spesso animati da “carità pelosa”, come si diceva un tempo.
Sr. Ancilla, già debilitata da tante vicende, dal peso di tutte queste difficoltà e dalla sue esperienze straordinarie, ebbe in quel periodo un grave tracollo psico–fisico. La povera Madre Anna, oltre a tutti i pensieri e le preoccupazioni per il monastero, stava in ansia per Sr Ancilla, la cui salute era molto compromessa.
Bicocchi conferma che Sr. Ancilla ha avuto, in tutta la sua vita, malattie più o meno misteriose e momenti di grande sofferenza, spesso inspiegabili; forse interpretabili solo come sofferenze mistiche vissute in costante e misteriosa partecipazione alla sofferenza di Cristo crocifisso.
4. P. Tarcisio di S. Giovanni della Croce – Ancilli - il confessore
Il Monastero del Carmelo era sotto la giurisdizione dell’Arcivescovo di Lucca Mons. Antonio Torrini, che aveva molta attenzione ed affetto per la comunità di Borgo a Mozzano. Egli fu quindi molto felice quando seppe che il Carmelo si sarebbe trasferito a Villa Orsetti, perché diceva che le monache avrebbero riparato i molti peccati fatti in quella villa. Venne lui stesso per stabilire alcune norme riguardanti la clausura e, sapendo dei problemi di salute che vi erano, mandò il dott. Giovanni Martinelli, da lui molto stimato. Questo medico, che divenne poi uno dei più amati Sindaci di Lucca, è stato, fino alla sua prematura morte, un eccellente medico per la comunità ed un sincero amico per Sr. Ancilla. In quel tempo, a causa delle gambe che non la sostenevano, Sr. Ancilla si muoveva solo in carrozzella, quella stessa su cui a lungo era stato il suo povero papà. Madre Anna, pur oberata da mille occupazioni, la portava a volte nel boschetto, dove un tasso centenario faceva da berceau; ma stava sempre in gran pena per lei. Finalmente nell’agosto del 1948, il Provinciale Padre Alberto, che veniva spesso e chiamava il monastero il “suo Tabor”, pregò la M. Priora di ospitare un giovane frate già sacerdote, molto stanco e bisognoso di un periodo di riposo: Padre Tarcisio di S. Giovanni della Croce – Ancilli di cognome – di 28 anni. Il Provinciale aveva detto a Madre Anna: «è giovane ma potete servirvi del suo consiglio come di quello di un vecchio, perché ha molta saggezza». Disse proprio così, qualcosa di simile a quanto scriveva S. Teresa di Gesù a proposito di S. Giovanni della Croce giovane.
Padre Tarcisio fu davvero provvidenziale, per Sr. Ancilla soprattutto, ma anche per tutta la comunità e la Priora fu felice di poter avere un padre carmelitano così bravo: poiché la Comunità aveva sempre avuto per confessori dei sacerdoti diocesani molto seri, ma non carmelitani.
Quando arrivò questo giovane padre, Madre Anna certamente lo ragguagliò sulla situazione fisica e spirituale di Sr. Ancilla e lui le fu, anche materialmente, di aiuto: per esempio sorvegliando Sr. Ancilla quando, sulla carrozzella, era nel boschetto. La cosa era possibile perché non c’era ancora la clausura. Le monache tutte cominciarono a consigliarsi con detto padre.
In ottobre anche le monache inizialmente rimaste a Borgo a Mozzano si riunirono alla Comunità e così a Monte S. Quirico arrivarono ad essere in 10 monache. Sr. Ancilla fu felice di aver finalmente una guida sicura ed illuminata. P. Tarcisio le disse subito che a lui non interessava sapere niente del suo passato e prese a guidarla, esigendo solo “fede ed ancora fede”. Il Padre Tarcisio sarà padre spirituale e confessore di Sr. Ancilla da allora fino alla di lei morte, per quasi cinquanta anni, un vero record, difficilmente superabile; ed è quindi una figura chiave di determinante importanza per la vita spirituale della nostra suora.
Padre Tarcisio è stato da tutti considerato come uomo di moralità integerrima e di salda spiritualità; ed ha guidato Sr. Ancilla con il più fermo e rigido stile carmelitano, anzi “sanjuanista” (da S. Giovanni della Croce, dottore della Chiesa” e teorico eccelso della mistica cristiana, in particolare carmelitana).
Sr. Ancilla era una Carmelitana convinta e quindi ha certo condiviso liberamente ed in profondità tale rigida impostazione di P. Tarcisio: altrimenti il rapporto non sarebbe stato così lungo e stretto.
5. Eletta Madre Priora (1954-1960)
Ma torniamo alla vita di Sr. Ancilla nel Monastero di Monte S. Quirico.
La vita della piccola comunità continuava in modo regolare, nonostante le grosse difficoltà causate dalla povertà e dalla precarietà della sistemazione della casa. Mancavano le celle e le religiose si arrangiavano alla meglio. La Madre Priora Sr. Anna e Sr. Ancilla, che era il suo braccio destro, portavano il peso di questa situazione. La povertà e le difficoltà varie incisero molto sulla salute di Sr. Ancilla che robustissima non era mai stata.
In diverse lettere di quel periodo, scritte alla cugina Norma Motroni di Borgo a Mozzano, la nostra parla delle grandi difficoltà del monastero e ringrazia la cugina degli aiuti e delle offerte che riesce ad inviare. Sr. Ancilla stette male per vari motivi: dolori di testa fortissimi, insonnia, fegato rovinato, eczema alle orecchie … forse tutte cose anche legate tra loro. Il dottor Martinelli la curava come poteva ed era stupito che, nelle condizioni in cui erano, le monache riuscissero a proseguire nella vita regolare. Gli anni passavano e si arrivò al 1954, 7 anni dopo il trasferimento. Ci fu il Capitolo elettivo della Priora e del consiglio; e le monache elessero proprio Sr. Ancilla come Priora e Sr. Maria Gemma Sottopriora. Sr. Ancilla aveva trentanove anni e sei anni di professione solenne, Sr. M. Gemma aveva trentuno anni e tre anni di voti solenni. Desolate ed impaurite delle responsabilità, piansero tutto il giorno.
Sr. Ancilla cominciò il suo “servizio d’autorità” con poco fiato ed una salute provata. Non si può dire che sia stata malata, se si eccettuano le solite influenze ed una operazione alla colecisti: il tutto sempre accompagnato dalla consueta grande stanchezza.
Intanto cominciavano ad affacciarsi alcune giovani con vocazione. Era necessario sistemare almeno alcune celle. Ed i lavori furono fatti per il minimo indispensabile. Ma quanti pensieri per la povera Priora! C’era il desiderio di rimettere la clausura; fu costruito il muro di cinta e finalmente nel 1955 la clausura fu ristabilita. Le monache furono felici perché solo così erano in condizione di poter ricevere vocazioni: infatti senza la clausura papale, questo era impossibile. A Dio piacendo, entrò qualche giovane e Sr. Anna fu incaricata della formazione delle novizie. Ella aveva tuttavia mille cose da fare, come economa e tuttofare sul piano pratico, cosicché Madre Ancilla dovette un po’ aiutarla anche nella formazione delle giovani. Nelle sue “ascolta” – come chiamano al Carmelo il colloquio delle religiose con la Madre – trasmetteva alle novizie quanto viveva: cioè una fede grande che sbocciava in fiducia totale nel Signore.
Sr. Ancilla assolse il compito di Priora con molto impegno ma con molta fatica. Il presiedere le era gravoso, proprio contrario al suo modo di essere. Madre Anna l’aiutava molto in tutto, tanto che qualche monaca, con la consueta malizia delle donne che permane anche nelle suore, diceva che non si sapeva chi fosse la Priora. Una cosa è certa: che la fatica per Sr. Ancilla fu davvero grande. Tuttavia con le persone che doveva avvicinare o che, comunque, venivano al monastero, era sempre molto gentile ed accogliente, diceva cose e dava consigli molto appropriati: e così le visite delle persone bisognose di consiglio aumentarono di molto; e ciò fu causa per lei di ulteriore stanchezza.
Una sofferenza non piccola, durante il suo priorato, le è venuta da una religiosa anziana, certamente malata, che era perennemente scontenta. Sr. Ancilla cercava di contentarla in tutto; era molto gentile e generosa con i parenti di lei, a cui la monaca era molto attaccata, ma niente bastava: la criticava in tutto, sparlando di lei perfino con il Padre Provinciale. In questo non era poi sola, perché anche una conversa sputava veleno contro Sr. Ancilla con il superiore. Bicocchi a questo punto commenta: "e lui, certo per permissione di Dio, ci credeva assai".
Come Dio volle, nell’autunno del 1960, terminarono i sei anni di priorato e nella carica di Priora subentrò Suor Anna.
I sei anni erano stati pesanti per Sr. Ancilla, che ne risentì le conseguenze. Madre Anna le dette due mesi di riposo, fuori da ogni impegno; però le disse che, dopo, sarebbe dovuta diventare responsabile del noviziato. Il pensiero di assumere l’onere non piccolo della formazione, fu per Sr. Ancilla un pensiero che le impedì di riposare. In noviziato nel 1960 c’erano ben sei giovani; ai primi del 1961 una di loro fece i voti solenni e passò in Comunità, ma entrarono altre due giovani, che a luglio però andarono via.
6. Sr. Ancilla Madre delle novizie (1960 – 1969)
L’8 dicembre 1960, Sr. Ancilla salì in noviziato come maestra. Sr. Teresa, che era allora una delle giovani novizie, ricorda : «fu tanto carina, ci portò dei cioccolatini e fu serena, ma nascondeva uno stato di sofferenza e di stanchezza incredibile». Nonostante questo non chiese mai alla Priora di essere dispensata dagli obblighi comuni del coro, neppure dai più faticosi. Anzi, per Ancilla era regola dare il buon esempio ed andava quindi alla preghiera del “mattutino”e alle lodi della sera, che terminavano alle ventitré circa. Madre Teresa ci consegna questo prezioso ricordo: «noi novizie sempre a corto di sonno, finito il coro, correvamo in cella per andare quanto prima al riposo. Lei restava in coro. Dopo qualche giorno, io mi insospettii e quando tutte furono uscite e lei andava ad inginocchiarsi allo scalino che era sotto la grata, io mi avvicinai e presola per la cintola, la sollevai. Non fece resistenza. Lentamente uscimmo e salimmo le scale, lei davvero con molta fatica. Dopo mi disse che, quando saliva da sola, si riposava prima su un baule messo all’inizio del ballatoio, poi sull’altro baule che era alla fine del percorso. Questo per dire quanto fiato aveva. Comunque, quella prima sera, io l’accompagnai in cella. Tutte si erano ritirate e nessuno mi vide. Si sedette sul letto e mi guardò con gratitudine con gli occhi pieni di lacrime. Io uscii ed andai nella mia cella vicina alla sua. Non osai fare di più. Entrare in cella dalla maestra, era allora, una cosa eccezionale … Però la sera dopo l’aiutai anche a spogliarsi ed a coricarsi, cosa che, da allora, continuai a fare ogni sera. Poi mi pare che dissi alla Madre Priora che, data la grande stanchezza di Sr. Ancilla, forse sarebbe stato bene dispensarla. Potei permettermi questa libertà perché, dopo pochi mesi dalla mia entrata, Sr. Anna, che era maestra, un giorno venne in cella da me e, con mio grande stupore, mi raccontò tutto di Sr. Ancilla, le sue vicende familiari, le grazie straordinarie ecc.. e quando, pochi mesi dopo, nell’ottobre del 1960, fu eletta Priora, me l’affidò». Continua la relazione di M. Teresa: «Come giovani vocazioni in tutto eravamo sei. Nel 1961 a gennaio Sr. Giulia fece la professione solenne e lasciò il noviziato; ma entrò un' altra ragazza, un medico di 40 anni, e quindi restammo sei. Nel maggio entrò anche Franca. Era quindi un noviziato numeroso ed impegnativo, anche per Sr. Ancilla; che, oltre alla cronica stanchezza, soffriva assai in quel tempo di mal di testa, di fegato e di stati che non so come definire: angosce, paure a letto, talvolta tremito forte … ed un qualcosa che la portava talvolta a battere la testa nel muro o per terra. Penso che questo stato di cose inspiegabile sia stato per lei la più grande umiliazione, che mai aveva potuto immaginare. Talvolta io, che la tenevo sempre d’occhio, la trovavo in cella disperata, l’abbracciavo e (lei) piangendo mi ha detto più volte «non lo dite al mio fratello». Si rendeva conto che erano cose strane. Io sono ignorante al riguardo ma penso fermamente che il demonio abbia giocate tutte le sue arti malvagie per torturarla ed umiliarla. Non so bene come lui possa influire sulle creature, ma è certo che qualcosa di male può fare. Anzi una volta, quando però non era in noviziato, Madre Anna ed io l’abbiamo trovata seduta per terra nella sua cella e tutta chinata. Le siamo andate vicino e dicendole: “su alzati”, l’abbiamo presa sottobraccio, una per parte, ma era pesante come se fosse di piombo. Perché noi si tentava di tirarla su, con voce gutturale che non era la sua, ha detto una bestemmia. Noi due siamo rimaste di stucco … Madre Anna molto semplicemente, ha detto: «è il demonio». Io dopo qualche giorno ho raccontato la cosa a Padre Tarcisio, che non gli ha dato per niente peso». Un racconto quello di Sr. Teresa che il Bicocchi definisce, giustamente: "davvero importante e interessante"; oltre a permettergli una dissertazione come questa che riporto: "L’episodio della “pesantezza” estrema del corpo di Ancilla come inchiodato a terra, si trova anche in molte altre vite di mistici e mistiche, come interferenza demoniaca. Ed altrettanto vale per l’episodio della bestemmia, che non deve certo scandalizzare nessuno: trattandosi anche qui di un caso classico di una forma di possessione demoniaca temporanea, di presenza intermittente del demonio (si pensi alla voce gutturale), del resto rintracciabile in molti episodi di santi e di mistici. Basti citare gli ultimi giorni di S. Gemma, come pure l’agonia di M. Teresa di Calcutta. E lo stesso significato hanno anche le tentazioni di suicidio e le spinte rivolte all’auto-danneggiamento (battere la testa sul muro o per terra), sopra riportate. Si tratta sempre di vessazioni diaboliche, che agiscono variamente, ma sempre senza consenso, e quindi responsabilità dall’interessato. Anzi, in tali casi, ma non solo non costituiscono una colpa, ma sono al contrario occasioni grandi di merito, perché sono sofferenze, subite solo per l’odio del demonio verso la santità, specie se rivolta a salvare le anime”. La persistenza di esperienze personali mistiche in Sr. Ancilla, continua il Bicocchi, è confermata dalla stessa Madre Teresa, la quale racconta ancora: «il suo fisico ed anche il suo sistema nervoso erano al più non posso. Un paio di volte si è sentita come smarrita in comunità. Sr. Giovanna mi venne a chiamare tutta spaventata, ma bastava che le fossi vicina che lei subito si tranquillizzava. Certo questi incidenti hanno inciso non poco sull’impressione che le monache avevano su di lei … erano fatti misteriosi che non so spiegare, se non con quanto mi disse una volta a Borca di Cadore: che, durante una preghiera estatica, come tante altre, si trovò come in Paradiso, immersa in una grande felicità. Il Padre Celeste le chiese «vuoi restare qui o tornare nella terra a patire?» e lei rispose di voler tornare a soffrire; e si sentì come una palla scaraventata sulla terra. Per cui, tante volte, l’ ho sentita dire «devo patire» e altre «nel Getzemani ci sono stata tante volte ma …» Madre Teresa, continua Bicocchi, ricorda ancora un altro motivo misterioso di turbamento e profonda sofferenza di Sr. Ancilla: «Una cosa ricorrente per lei erano le paure. Per un certo tempo, con il permesso della madre, ho portato una brandina nella sua cella e la sera andavo pian piano a dormire là. La mattina alla sveglia, velocemente, tornavo nella mia cella, perché la sorella incaricata che bussava sentisse che ero in cella. In quel tempo mangiava quasi nulla e, invece, per il suo stato, avrebbe avuto bisogno di nutrirsi. La Priora mi aveva dato un fornellino e fette biscottate e marmellata e spesso andavo da lei (la sentivo che si rigirava) e le facevo mangiare qualcosa». Era una vita dura perchè c’era anche la questione del noviziato che, volere o no, doveva mandare avanti. Nel 1961 Sr. Giulia scese in comunità. La dottoressa Giulia, entrata ai primi dell’anno, a volte, aveva l'esigenza di parlare a lungo con la Maestra, stancandola. Inoltre avrebbe molto voluto curarla lei, ma il dottor Martinelli non era contento di avere interferenze. Verso l’agosto – su consiglio del medico, del confessore e del provinciale che era Padre Giulio – fu chiesto il permesso per mandare Sr. Ancilla in montagna, a Borca di Cadore, ospite delle suore Carmelitane di S. Teresa, molto amiche della comunità di Monte S .Quirico. Non potendo andare da sola (non avrebbe potuto fare passeggiate), fu mandata ad accompagnarla proprio Madre Teresa. Le suore furono molto carine. L’aria e soprattutto l’acqua freddissima le furono di grande giovamento. Proprio Madre Teresa, di quel periodo, ricorda un episodio rilevante: «all’inizio della nostra permanenza, le suore fecero il ritiro annuale ed un giorno, più per dare il buon esempio che per altro, noi due andammo ad ascoltare una meditazione di un certo Padre Daniele della Provincia Veneta che predicava gli esercizi. Dopo poche battute il Padre cominciò a parlare della Passione di Gesù. Sr. Ancilla mi dette una leggera gomitata dicendomi di voler uscire. Appena fuori mi disse: «non vorrei che mi succedesse qualcosa». Seppi che Padre Tarcisio le aveva proibito di fare la meditazione sulla Passione». A giudizio del Bicocchi questo episodio conferma sia il persistere delle esperienze eccezionali in Sr. Ancilla, anche dopo gli interventi del Padre confessore che, addirittura, le aveva proibito la stessa meditazione sulla Passione, che era evidentemente già di per sé sufficiente per provocare estasi o altre manifestazioni eccezionali. Di sicuro l'intento di Padre Tarcisio era anche quello di tutelarla, data la situazione di malattia e di prostrazione nella quale si trovava.
Nel frattempo al Monastero di Monte S. Quirico si cominciò a muovere i primi passi per costruire la chiesa ed il coro: fino ad allora improvvisati in due stanze della villa. Dopo vari tentativi a vuoto, finalmente un amico sacerdote indicò loro la strada che le portò ad avere un cantiere di lavoro. Questo fu concesso nel 1961 e la chiesetta fu inaugurata nel marzo del 1966. Finalmente quindi, superate tantissime difficoltà, il 28 marzo 1966, con l’inaugurazione della chiesa, Madre Anna e Sr. Ancilla ebbero una grande gioia ed anche la speranza di poter realizzare le celle per le monache.
Dopo il periodo passato a Borca di Cadore Sr. Ancilla stette piuttosto bene, anche se la stanchezza non la lasciava mai del tutto.
Le novizie intanto crescevano. Nell’estate del ’62, Sr. Ancilla fu inviata in una struttura a Sondalo. Nonostante l’invitante depliant illustrativo, si trattava di una struttura per persone che avevano avuto problemi di TBC. Inoltre, c’era una monaca di Bologna che si attaccò a lei come una “mignatta”, la serviva e riveriva in tutto, ma era davvero soffocante. Un’amica stretta di Sr. Cherubina, persona molto pratica, andò a visitarla e, vedendo la situazione assai disastrosa, la portò via di lì e la sistemò presso un convento di suore ad Ortisei. Lì rimase per circa un mese. Quando ritornò stava benino, anche se, nell’insieme, la vacanza era stata piuttosto infelice. Nel 1963 e 1964 le novizie fecero i voti solenni, sicché il lavoro di Sr. Ancilla come maestra era terminato. Tuttavia entrarono altre due giovani, una nel ’63 ed una nel ’65. Sr. Teresa fu incaricata di aiutare Sr. Ancilla nella formazione delle novizie, che erano assai problematiche. Sr. Ancilla ebbe da tribolare un po’ nella formazione, ma era molto illuminata nel discernimento. La prima novizia andò via di sua spontanea volontà dopo i primi voti, e l’altra fu indirizzata ad uscire da Sr. Ancilla stessa e passò ad un Istituto Carmelitano di vita attiva. Sr. Ancilla fu chiarissima nel presentarla, con quei limiti che aveva evidenziato e che, poi, si resero evidenti anche nella nuova vita. Con l’uscita di queste due giovani, praticamente il suo compito di maestra delle novizie era terminato. Quanto nel 1969 entrò un’altra ragazza, Sr. Ancilla non si sentì più di continuare nel lavoro di formazione.
7. Sr. Ancilla “monaca qualunque” (1969 – 1993)
Sr. Ancilla allora (siamo nel 1969) rientrò nella comunità come una monaca qualunque e, così, rimase per venticinque anni fino alla morte (avvenuta nel 1994). La stanchezza, tante volte richiamata dal Bicocchi, la perseguitò sempre di più. Era spesso richiesta in parlatorio da persone che già conosceva o da altre che la volevano conoscere, perché aiutava molto le anime a credere e ad amare il Signore. Varie persone, dopo la sua morte, hanno testimoniato che il suo ripetere costantemente il nome di Gesù ed il suo continuo riferirsi a Lui, le aveva indotte a credere maggiormente ed a conoscere più a fondo il Signore. Andavano a trovarla anche persone importanti e molto note. Tra tutte, il Bicocchi, ricorda Padre Raniero Cantalamessa, Predicatore della Casa Pontificia, che visitò spesso il Carmelo dopo il 1981, e parlò con lei più volte. Sr. Ancilla di sé non gli aveva detto mai nulla, ma Padre Raniero disse una volta (a Madre Teresa) che era stato molto colpito dal fatto che Sr. Ancilla, ogni volta che lo incontrava, gli ripeteva con foga, «parla di Gesù, parla di Gesù!». Il modo con cui glielo diceva lasciava il Padre colpito e gli fece intuire di trovarsi davanti ad un’anima ardentemente presa dal Signore.
Ho provato a contattare in questi ultimi mesi Padre Cantalamessa per avere conferma di quanto riferito dal Bicocchi ed una eventuale sua testimonianza, ma non mi è stato possibile avere lo sperato incontro.
Nel 1966, in autunno, Madre Anna terminò il priorato. Però, per quello che poté, cercò sempre di tener d’occhio Sr. Ancilla e di aiutarla. La comunità continuava ad essere molto povera. Inoltre furono anni duri e pieni di preoccupazioni, perché la chiesa ed il coro avevano richiesto tante tensioni e tanti conti da pagare.
Indubbiamente Madre Anna e Sr. Ancilla ebbero una grandissima soddisfazione quando, il 28 marzo 1966 l’Arcivescovo di Lucca Mons. Enrico Bartoletti inaugurò la chiesa.
Il cantiere di lavoro era bastato solo a fare le fondamenta e poco più, poi i lavori erano rimasti sospesi finché l’impresario lucchese Gemignani, impietosito, portò a termine il lavoro, sebbene non ci fossero i denari per pagare. I conti furono saldati lentamente, un po’ alla volta.
"La comunità del Carmelo di Sr Ancilla - scrive il Bicocchi - ha sempre avuto il problema della povertà; problema, peraltro, ritenuto salutare dalle monache, perché la povertà è stata una di quelle cause che hanno cooperato per l’unione delle monache stesse: perché dove ci sono troppi mezzi materiali, c’è pericolo di disperdersi, a danno della comunione fraterna".
Nel 1966 fu eletta priora Sr. Gemma, ex compagna di noviziato e compesana di Sr. Ancilla, monaca seria, molto osservante, ma indubbiamente meno attenta ai bisogni, anche materiali, di Sr Ancilla, che continuò a fare tutto quello che poteva. Soprattutto, per anni, fu incaricata della foresteria, che allora era molto frequentata. Ebbe l’aiuto di una religiosa giovane, ma sentì spesso il peso dell’ufficio.
Nel 1970, la Madre Priora Sr. Gemma si ammalò per una forma di mielite che le paralizzò le gambe. Cominciarono esami e ricoveri, il primo a Pisa, e Sr. Ancilla andò ad assisterla. Fu un altro bel colpo alla sua resistenza fisica.
Nel febbraio del 1972, proprio come regalo per il suo venticinquesimo di professione, cominciò ad avere qualcosa in gola che richiese un ricovero in otorino a Lucca. In pratica i medici, compreso il primario, non capirono quello che aveva e lei stava sempre peggio. Un giorno, senza aver chiesto nessun permesso, il primario prof. Tavani le fece un prelievo in gola che fu in pratica, un vero intervento – come poi dissero a Pisa – asportando un grosso pezzo di carne. Un’amica di Sr. Ancilla e del Monastero – Marta Barsanti, che ritroveremo in questo testo per importanti testimonianze – andando a farle visita, la trovò così male che telefonò alle monache perché andassero a rendersene conto direttamente. Fu mandata Sr. Teresa che, fatta una firma, la riportò a casa, ma in condizioni disastrose. Aveva in gola una specie di superficie spugnosa e bianca che faceva impressione. Fu deciso di portarla a Pisa, dove viveva il fratello Mario, che si offrì di accompagnarla in ospedale. Sr. Teresa andò con lei e la suora “cottolenghina” che le ricevette in ospedale l’accompagnò subito nel reparto del prof. Bartalena. Questi, appena la vide, sospettò che si trattasse di “pénfigo” e disse di portarla in dermatologia. La Provvidenza volle che là incontrasse un giovane medico – il prof. Crudeli – che il fratello Mario, pilota militare di aerei, conosceva bene, avendogli dato lezioni di guida per un aereo privato. Il professore ritenne trattarsi di “aftosi gigante”. Grazie alla sua bravura, in un mese, Sr. Ancilla guarì perfettamente.
Ella aveva sofferto un po’ in quel reparto di dermatologia, dove incontrò anche molte donne di “facili costumi”: tuttavia seminò pace come poté, soprattutto con una povera donna malata di “penfigo” all’ultimo stadio, che era in una camera vicina alla sua. Alla figlia di lei che veniva ad assisterla, rivolgeva parole di fede e di incoraggiamento. Sr. Ancilla era insieme ad un’altra signora, in una camera un po’ riparata.
8. Madre Teresa Priora (1972)
Nel 1972, terminato il sessennio di Madre Gemma, purtroppo molto ammalata, fu eletta Priora Sr. Teresa di Gesù, figura che, come abbiamo visto, si lega strettamente alla vita della nostra Sr. Ancilla che, da allora, come scrive Bicocchi: "fu guardata … a vista!".
Fu dispensata dagli atti comuni del coro, comportanti maggior sacrificio, come lodi ed ufficio delle letture, anche se lei al mattino andò quasi sempre, eccetto che negli ultimi mesi. S. Ancilla si svegliava di solito molto presto, mentre la sera, molto volentieri, andava a riposo assai presto, perché stava sempre afflitta dal dolore alle spalle.
Giuseppe Bicocchi, nel suo testo, si sofferma su questo punto: "Ritirarsi in cella non equivale a dormire. So, per averlo sentito direttamente da Sr. Ancilla, non solo che pregava durante la notte, ma che ha avuto spesso delle “visioni notturne”. Qualche volta, alludendo alle visioni notturne dei profeti biblici, mi ha confessato che si è recata in spirito in luoghi di sofferenza, in cui si compivano atroci delitti, partecipando così alle sofferenze di Cristo per i peccati del mondo".
In quegli anni Sr. Ancilla non faceva lavori particolari. Aiutava Sr. Anna dove poteva, dispensava alle monache le cose di cancelleria che lei – ordinatissima – teneva in un armadio. Ed era ammirevole in una cosa: lei che non ricordava nulla, né le sue date, né le notizie varie, era puntualissima nel procurare alle sorelle quello che le chiedevano. Per non dimenticare le cose, scriveva biglietti che appuntava sotto lo scapolare. Così era molto attenta a ringraziare le persone ed a telefonare a questo o quello a nome della madre e della comunità.
9. Il Rinnovamento nello Spirito
Un aspetto importante e, forse, poco noto della esperienza spirituale di Sr. Ancilla è stato l’incontro con il "Rinnovamento nello Spirito", il movimento ecclesiale sorto nel gennaio 1967 a conclusione del Concilio Vaticano II.
Nel 1981, un sacerdote amico, parlò alle monache del Rinnovamento nello Spirito e fece loro ascoltare alcune conferenze tenute da Padre Raniero Cantalamessa, che allora le monache non conoscevano nemmeno di nome. La cosa interessò molto a Sr. Ancilla ed a tutte le altre monache e così maturarono l’idea di prepararsi a ricevere la preghiera di effusione dello Spirito Santo. Questo rito avvenne il 27 giugno 1982. Andò al monastero un gruppo di persone che erano nel movimento e fu per tutti un giorno di festa.
Sr. Ancilla, dopo quel giorno, fu particolarmente gioiosa: perché lo Spirito Santo l’aveva ancora di più illuminata e perfezionata nella carità.
Anche in questo caso voglio riportare una considerazione di Bicocchi:
"È una ipotesi non provabile, ma non peregrina che, in quel periodo, si sia conclusa la fase della “notte” più fonda per Sr. Ancilla, che ritornò all’esperienza gioiosa con Cristo Sposo. Anche se è certo che la vivacità umana e spirituale di Sr. Ancilla è sempre rimasta una costante, in qualunque stato d’animo o fase spirituale ella fosse".
Dopo questa informazione e questo commento il Bicocchi torna a parlare della vita quotidiana di Sr. Ancilla nel monastero, scrivendo che ella andava alla ricreazioni e guardava le sorelle con occhi attenti e perspicaci; accorgendosi sempre se l’una o l’altra aveva qualcosa. Si accorse, prima di tutte, che una giovane che era in prova, certamente sarebbe uscita; ed infatti dopo poco andò via.
Godeva quando qualche giovane procedeva bene nella vita carmelitana, e dava sempre puntuali e preziosi consigli a tutte.
Nel 1984 entrarono due giovani. La Comunità del monastero si sentiva viva, lieta di accogliere nuove vocazioni. Sr, Ancilla partecipava vivamente a tutto, pur tenendosi costantemente in disparte. Fu invitata talvolta a salire in noviziato per parlare con le novizie e rispondere alle loro domande. La sua salute continuava, più o meno, ad essere sempre la stessa; tribolata. Fu operata di colecisti e stette un po’ meglio dal punto di vista epatico. Il dott. Martinelli morì nel 1982 ed il monastero prese come medico una delle sue figlie, che curò Sr Ancilla con amore, essendole anche affettivamente legata. Sr, Ancilla fu un po’ tormentata dal fuoco di S. Antonio ed ebbe una o due ischemie, ma davvero molto transitorie. Purtroppo una fu più grave e segnò l’inizio della fine.
10. L’ultimo anno – 1994
Negli ultimi mesi della sua vita, qualche volta, Sr. Ancilla perdeva un po’ il senso della realtà e si angustiava per motivi inesistenti. Questa cosa preoccupava tutte le sorelle e le responsabili del monastero. Tanto più che un’amica, medico di grande esperienza, disse una volta che poteva trattarsi di “demenza senile”. Ma, scrive il Bicocchi, "il Signore non ha permesso questa ulteriore umiliazione della sua serva". La mattina del 28 gennaio 1994 Sr. Anna, che aveva la cella acconto alla sua, sentì un gran colpo. Andò di corsa a vedere cosa era successo e trovò Sr. Ancilla per terra. Alzatasi dal letto, aveva avuto una delle sue ischemie ed era caduta di colpo. Fu ricoverata in ortopedia e la radiografia confermò la frattura del collo del femore. Lei era serena, ma le monache molto meno. Fu operata e dopo alcuni giorni fu dimessa con l’obbligo di fare una determinata ginnastica.
Fu un anno molto penoso. Una sorella a turno l’assisteva la notte e fu necessario mettere nella sua cella una brandina su cui potersi distendere. Per lei fu una mortificazione non piccola, ma l’accettò non nascondendo la sua pena. Andando a far visita a Sr. Gemma le disse «tu almeno non hai l’infermiera in cella …».
Nonostante le virtù, era rimasta sempre molto umana, e non si vergognava a dimostrarlo. Di giorno stava molto nella sua cella e, finché ha potuto, leggeva molto la Sacra Scrittura.
Il 16 dicembre 1994, di venerdì, dopo il riposino del pomeriggio, facendo l’atto di alzarsi, cadde di nuovo. A cena consumò un po’ di minestra, poco formaggio e un po’ di frutta cotta che l’infermiera le metteva in bocca. Si era infatti accorta che Sr. Ancilla non stava bene. Andata a letto, verso le 22 cominciò a star male e non dava relazione a nessuno: o perché stava male o perché già aveva perduto conoscenza; rimase come assopita, con un rantolo continuo.
Tutta la notte passò così; rimasero accanto a lei Sr. Anna e Sr. Teresa, le consorelle amiche di sempre.
Alle 16 del giorno dopo, era sabato, il giorno di Maria, emise l’ultimo respiro.
Come afferma in conclusione il “necrologio”: «non poté dire nemmeno una parola: il Signore l’avvolse nel mistero della sua croce, del suo silenzio, facendola passare dall’oscurità della notte alla luce radiosa della Sua Risurrezione».
La Mamma Celeste, che tante dimostrazioni di affetto le aveva dato, era venuta a prenderla, per portarla all’incontro con lo Sposo celeste, Gesù Cristo crocifisso e risorto, nelle nozze eterne del Paradiso.
Colloqui e preghiere
Tra il vasto materiale raccolto ci sono una serie di documenti che testimoniano le manifestazione eccezionali presenti in Dora, negli anni della gioventù, fino all’ingresso in Monastero, con particolare riferimento agli anni 1941 – 42 – 43. Quello che Dora diceva in estasi è stato accuratamente descritto, talora da più persone, così che abbiamo anche varie versioni della stessa estasi, con piccole divergenze e larghissime convergenze. La difficoltà maggiore è stata la decifrazione della grafia, spesso quasi illeggibile, delle persone di buona volontà che si sono sforzate di trascrivere, a mano e direttamente, quello che loro constatavano che Dora facesse e dicesse. Tutto questo materiale, insieme a diverse foto, frutto di artigianali tentativi, dell' epoca, di consegnare ai posteri qualche immagine di Dora in estasi sono pervenuti, da circa 10 anni alla Misericordia, tramite Agnese Garibaldi, allora Governatore e sono state trascritte e catalogate da una giovane volontaria, Rachele Tognetti che, in diverse occasioni, ha visitato il Carmelo di Lucca e conosciuto le suore.
Mi sono posto il problema se fosse giusto pubblicare quelle foto e, dopo una attenta valutazione, ho pensato che quelle immagini, sempre composte e serene, sono testimonianze importanti, che possono arricchire le nostre conoscenze di Sr. Ancilla.
Giuseppe Bicocchi scrive che quei testi, contenenti quanto detto dalla giovane Dora in estasi, sono da qualificare come “preghiere e colloqui”, sulla scia di una "indicazione terminologica" di Padre Fabiano Giorgini, curatore dell’opera omnia di S. Gemma Galgani (S. Gabriele edizioni 2004), che ha deciso di non indicare più sotto il titolo di “estasi”, ma di “colloqui con Gesù”, le famose registrazioni fatte dalla famiglia Giannini delle preghiere di Gemma.
Nel caso di Dora tutto accadde sotto gli occhi di don Amedeo Chicca parroco di S. Rocco in Borgo a Mozzano e primo confessore, oltre che padre spirituale di Dora. Credo che non possano esserci ombre sulla serietà della guida spirituale di questo ottimo sacerdote, che ha portato alla vocazione tante giovani, creando un clima di grande fervore e devozione nella parrocchia. Fu lui stesso ad insistere con la famiglia – a parte i problemi pratici che ne derivavano – perché Dora entrasse il prima possibile al Carmelo del Borgo, e divenisse lì una “sepolta viva” (come allora si diceva), ponendo fine alle chiacchiere ed alle attese spettacolari sulla “santità” della giovane. Questo è testimoniato - come ci ricorda Giuseppe Bicocchi - anche da un ragazzo di allora, Agostino Motroni, che ha dichiarato “sentivo parlare di Dora la sera a cena, ne parlavano a bocca chiusa, con aria misteriosa. Dicevano che era stata consigliata da Don Chicca ad entrare in convento per evitare che, quando pregava davanti al tabernacolo dell’altare maggiore della chiesa di S. Rocco, i curiosi presenti ne parlassero poi a sproposito”. Su questo posso aggiungere il ricordo personale di quanto mi raccontava mia madre Flora che, più volte, come amica e "discepola" di Dora, aveva assistito a quelle che anche lei chiamava "estasi".
Non ritengo utile appesantire questo testo con quei resoconti. Chi eventualmente vorrà potrà prenderne visione successivamente; perchè le trascrizioni saranno opportunamente conservate, a cura della nostra Misericordia, nella Biblioteca S. Francesco presso il convento.
Ricorderò solo che la testimonianza più significativa è quella rilasciata ai promotori di questo libro (in particolare ad Agnese Garibaldi) da parte di Marta Barsanti, amica di Dora fin da giovane, che ha assistito a molte delle manifestazioni "particolari" di Dora. Della Barsanti è interessante cogliere l’affetto e quasi la devozione verso Sr. Ancilla, ma anche un sano distacco da ogni forma di eccessiva attenzione verso gli aspetti eccezionali delle esperienze di Dora, che la Barsanti ritiene comunque indimenticabili. Dice dunque la Barsanti: «Ho conosciuto Dora nella Gioventù Femminile (di Azione Cattolica). Lei era delegata di plaga (che significa zona) e verso il 1942-1943, per mezzo di Maria Valenti, venne parecchie volte a casa nostra a Lucca; la Valenti ci aveva detto che la ragazza aveva dei fenomeni "mistici". Anche la nostra mamma - continua Marta - fu coinvolta ed assistè più volte. Queste manifestazioni avvenivano spesso in camera nostra a Lucca».
Si tratta quindi, in questo caso, di un’intera famiglia, con amici ed amiche, che testimoniano quanto accaduto: in camera loro, tra le mura domestiche, nella casa di Dora al Borgo, in Chiesa di S. Rocco.
Di quanto aveva conosciuto in quel periodo Marta Barsanti non aveva mai parlato, fino a quando non è stata stimolata a farlo da Agnese Garibaldi, che della vita di Suor Ancilla, voleva lasciare testimonianza, come finalmente riusciamo a fare con questa pubblicazione.
Dice la stessa Marta Barsanti: "La mia (e quella di mia sorella Maria) non è stata indifferenza, ma prudenza cristiana, come la Chiesa ci insegna. In me prevaleva l’ammirazione per le sue virtù, la sua illuminazione nel dare consigli ed anche l’amicizia e l’affetto. Non aveva l’aria di una persona particolarmente ispirata e si esprimeva con naturalezza. Non posso però nascondere di non aver dimenticato quello a cui ho assistito, anche dopo 60 anni".
Infine, Marta Barsanti rivela due particolari significativi. «Una volta mi disse una cosa (era già al Carmelo di Monte S. Quirico) che tengo solo per me. In quell'occasione le chiesi “ma come fai a dirmi questo? Come fai a saperlo?” e lei “se te lo dico, è così!".
"In altra occasione chiesi a Sr. Anna se nel monastero Ancilla avesse avuto qualche dono particolare. Ed ella mi rispose che alla professione di monaca carmelitana aveva avuto la percezione della gloria che quell’atto dava al Signore».
Per concludere la Barsanti afferma: "Per me Sr. Ancilla è stata una persona indimenticabile, di cui … ho sentito il bisogno. A lei sarei ricorsa tante volte, specialmente in questi ultimi anni. Ricorro ancora alla sua amicizia per invocarla».
Esame degli scritti
Lettere a Padre Lombardi
Giuseppe Bicocchi nel suo testo si sofferma a lungo su un carteggio esistente tra Sr. Ancilla e Padre Riccardo Lombardi (1908-1979), il famoso "microfono di Dio" come veniva chiamato negli anni della sua più forte notorietà.
Padre Lombardi fu un gesuita dal temperamento e dalla vis oratoria straordinarie, capace, negli anni complessi del secondo dopoguerra di trascinare le folle ma anche, a volte, di irritare le gerarchie vaticane. Sua l'idea di collegare via radio le piazze di diverse città per arrivare ad un numero sempre maggiore di persone e quando poi comincia a fare i suoi discorsi via radio il successo è immediato, tanto da meritarsi proprio l'appellativo di "microfono di Dio”. Nel 1946 e poi soprattutto nel 1948, quando la giovane Repubblica affronta le prime elezioni politiche in un clima di forte antagonismo fra cattolici e comunisti, padre Lombardi ha una funzione cruciale nella vittoria della Democrazia Cristiana. Il suo acceso anticomunismo lo porta a scontrarsi con De Gasperi quando, in occasione delle elezioni amministrative del ’52, papa Pio XII chiede l’alleanza con i partiti di destra e i monarchici, ma presto anche i rapporti con il Santo Padre diventeranno critici: Padre Lombardi sogna una Chiesa diversa, più aperta, ma i tempi non sono ancora maturi. Il sacerdote gesuita si dedica allora alla costruzione del “Movimento per un Mondo Migliore”, uno spazio aperto a tutti, religiosi di ogni ordine e laici in una unione spirituale e con vocazione missionaria.
Anche con Giovanni XXIII ci sono momenti difficili e quando il papa, l’11 ottobre del ’62, apre il Concilio Vaticano II, padre Lombardi, che tanto aveva aspettato un momento come quello, non viene neanche convocato.
Spera poi in Paolo VI, ma anche questa volta le sue idee vengono giudicate eccentriche, forse eccessive. Comincia così il “periodo oscuro” di Padre Riccardo Lombardi, una profonda depressione che segnerà i suoi ultimi anni illuminati solo dall’incontro con Giovanni Paolo II.
Dopo la sua morte, avvenuta nel 1979, la Chiesa si aprirà al confronto con le maggiori religioni mondiali ed il “Movimento per un Mondo Migliore” verrà pienamente riconosciuto come Associazione privata di fedeli. Il sogno di Padre Riccardo Lombardi si è infine avverato.
Giuseppe Bicocchi ci parla delle lettere che Sr Ancilla ha scritto a Padre Lombardi, che hanno una dimensione assolutamente religiosa. La prima, scritta il 3 novembre 1943, è addirittura precedente all'ingresso di Dora nel Carmelo ed è su carta intestata della Gioventù Femminile di Azione Cattolica del Centro Diocesano di Lucca. Dora fa riferimento ad un incontro a Roma con il gesuita P. Lombardi, nel quale si era parlato di una "crociata" a favore dei sacerdoti, argomento che, evidentemente, stava molto a cuore alla giovane Dora e poi a Sr. Ancilla. Nello scritto Dora scrive: "Voglio essere piccola Ostia sacerdotale per i Sacerdoti, i prediletti del Signore; mi offro a questo scopo all'Adorabile Trinità per soddisfare alle sue Divine esigenze". Da queste poche frasi si capisce la profondità spirituale ed il trasporto della giovane delegata dell'Azione Cattolica e il coraggio nell'intrattenere rapporti epistolari così complessi con una figura già affermata come il gesuita P. Lombardi. Una seconda lettera è del 20 febbraio 1944, con la quale Dora informa il gesuita del suo ingresso nel Carmelo di Borgo a Mozzano, avvenuto appena il 2 febbraio (1944) "per la festa della Mamma (festa della purificazione di Maria)". In una lettera del 23 gennaio 1946 informa il gesuita che , in data 16 febbraio, farà la professione religiosa e scrive una frase molto esplicita: "potrò allora aiutare i Sacerdoti a salvare tante, innumerevoli, vorrei dire tutte le anime...". La dimostrazione che il carteggio con Padre Lombardi verte sul comune desiderio di aiutare i sacerdoti è esplicitata anche in una lettera del 21 aprile 1948, quando Sr Ancilla scrive: "Con tanta gioia e commozione ho appreso che sta progettando un piano di lavoro per la "innovazione del clero"...Vedo realizzarsi un desiderio ardente del Cuore di Gesù, che lui stesso mi manifestò fino da circa dieci anni orsono...In quel tempo mi fu imposto per obbedienza da Gesù e poi dal direttore spirituale di scrivere al Santo Padre i desideri di Gesù riguardo ai sacerdoti e cioè che Lui voleva una crociata di preghiere, di sofferenze e di lavoro diretto per essi; perché si rinnovasse lo spirito dei suoi apostoli che andava, diceva, declinando; scrissi ma poi non seppi, né mi interessai più della cosa, molto più che sentivo ripugnanza a mettermi in evidenza per questo lavoro e chiesi a Gesù di lasciarmi nel nascondimento e di accettare la mia immolazione per i Sacerdoti nel segreto. L’ottenni…Ho pregato e rinnovato l’offerta di me stessa perché questa crociata si realizzi in pieno e soddisfi i desideri del Cuore Divino, che tanto si lamenta per l’allontanamento dei suoi. Si lamenta soprattutto per i tradimenti più o meno gravi che ogni giorno vanno rinnovando con aumento sempre più spaventoso, Gesù notifica anche la causa, e cioè, mancanza di unione con Lui, mancanza di vita interiore».
Credo davvero che queste parole si commentino da sole e facciano capire il pensiero ed il ruolo di Sr Ancilla, come la conclusione della importante lettera: «Questa è l’ora della Provvidenza per la “rinnovazione del clero”, per iniziare la “crociata pro sacerdotibus”; e vogliamo vincerla per consolare e glorificare il Cuore Divino di Gesù e per la salvezza del mondo”, che contiene anche il saluto a Padre Lombardi: «La Mamma, Regina degli apostoli, Le sarà vicinissima nel prossimo lavoro per i sacerdoti».
Il carteggio con Padre Riccardo Lombardi prosegue fino all' 8 dicembre 1960, quando Sr Ancilla è ormai eletta Madre; ma il leitmotiv dello scambio epistolare con il gesuita è sempre lo stesso: «In quanto al suo apostolato Rev. Padre continuo sempre a seguirla intensificando il più possibile il mio apostolato di Carmelitana: immolazione totale nel silenzio; in questo spogliamento completo avvertiamo che la forza propulsiva dell’amore ingigantisce e quindi ci accorgiamo di suscitare nel Corpo Mistico un movimento più intenso della grazia divina».
Dall’inizio alla fine, questa è la considerazione di Giuseppe Bicocchi, il tema del carteggio è uno solo: l’immolazione per amore. Immolazione totale nel silenzio, per amore dello Sposo Crocifisso, diventando piccola ostia nell’Ostia-Gesù, offerta in olocausto per la conversione di tutte le anime, attraverso il sostegno ai sacerdoti, perché essi divengano “strumenti” docili obbedienti e fedeli al volere di Cristo. Questa è la vocazione di Sr. Ancilla, nella più classica fedeltà alla migliore tradizione Carmelitana, a partire da S. Teresa d’Avila. Il tutto, per amore, che è la molla fondamentale: per sé, per le altre sorelle, per il sacerdote gesuita P. Lombardi.
Queste lettere sono davvero belle e molto importanti. Esse sono state con ogni probabilità molto importanti anche per Padre Lombardi: e non a caso sono stati citate da chi ha scritto la storia di P. Lombardi: il vaticanista Gianfranco Zizola, nel libro “Il microfono di Dio” (Mondadori Editore).
“Veramente Sr. Ancilla è stata un’anima particolarmente benedetta dal Signore e la sua “influenza” spirituale in P. Lombardi sembrerebbe grande”; così scrive Juan Pedro Cubera alla M. Anna Maria del Carmelo di Monte S. Quirico, in data 2 giugno 1996, inviandole fotocopia delle lettere di Sr. Ancilla, i cui originali sono nell’archivio di Padre Lombardi a Roma, presso la Sede internazionale del Movimento per un Mondo Migliore.
Il tema centrale delle lettere, lo abbiamo visto, è quello della “crociata pro sacerdotibus”, voluta da Gesù attraverso una sua rivelazione diretta a Sr. Ancilla e da lei proposta a P. Lombardi.
Importanti sono anche i riferimenti biografici sulla vita e le malattie di Suor Ancilla, con la conferma della povertà del Monastero e la fatica di domandare l’elemosina, fatta da Suor Ancilla per obbedienza.
Significativa è anche la continua insistenza di Sr. Ancilla sulla salute di P. Lombardi, con l’invito ripetuto a riguardarsi e riposarsi. "Chiunque abbia conosciuto Sr. Ancilla - è ancora una considerazione di Giuseppe Bicocchi - sa bene quanto insistesse su questo tasto, in ogni incontro; e come ricordasse esattamente, anche dopo molto tempo, ogni guaio nostro o dei nostri cari, e in particolare ogni nostro problema di salute, di cui si faceva concretamente carico, nella preghiera e nei sacrifici".
L’epistolario tra Sr. Ancilla e Padre Lombardi, come è già stato ricordato, è più volte citato nell’importante libro, scritto dal noto vaticanista Giancarlo Zizola (Il microfono di Dio, Mondadori, 1990); una piccola parte della storia di quel grande “personaggio” che fu P. Lombardi. Sulla copia del libro, inviata al Carmelo di Monte S. Quirico, vi è la seguente dedica dell’autore: «A Suor Ancilla, ringraziando per la testimonianza evangelica del suo epistolario con P. Lombardi, con l’amicizia di Giancarlo Zizola, Roma, 10 novembre 1990». Tale libro, che riporta brani delle lettere di Sr. Ancilla – che Zizola denomina erroneamente Dora Matroni, invece che Motroni, lettere che ella riteneva dovessero restare di carattere riservato – non fu mai fatto vedere a Sr. Ancilla stessa, perché non soffrisse dell’indebita pubblicità.
Lettere ad Anna Maria Girolami
Un altro carteggio importante, evidenziato da Giuseppe Bicocchi, è quello con Anna Maria Girolami, una giovane che intendeva entrare nel Carmelo.
Sr Ancilla, prima come incaricata di M. Anna e poi dal ’54 come madre del Carmelo, aveva il compito di tenere i contatti con le ragazze che chiedevano di essere ammesse al Carmelo, o che comunque stavano preparandosi a quella scelta.
Le lettere sono dodici, scritte dal 7 ottobre 1953 al 10 luglio 1959 e Sr. Ancilla si dimostra sempre molto umana, attenta ai problemi concreti ed anche minuti, sia dell’interlocutrice sia del Monastero: soldi, lavoro, situazioni familiari, sofferenza etc..
Ma, soprattutto, è “maestra” ed educatrice, quando invita la giovane aspirante carmelitana ad un profondo stile spirituale cristiano e ad essere Carmelitana in spirito, prima di esserlo per davvero nel Monastero; a vivere un preciso itinerario di ascesi, di purificazione, di spoliazione, di abbandono.
Non vi sono in queste lettere grandi voli mistici, né aspetti particolari. Si è in presenza di una catechesi semplice, piana, come si addice ai rapporti con una “principiante”; ma insieme sempre molto precisa, ed esigente: fondata sempre e solo sull’amore, ma un amore che implica la rinuncia a se stessi e al proprio egoismo ed esige una generosità totale nell’abbandono a Dio.
Fin dalla prima lettera del 7 ottobre 1953, il programma è indicato con assoluta esattezza: «Intanto lavora incessantemente all’acquisto delle virtù caratteristiche del Carmelo: solitudine, silenzio, mortificazione, virtù necessarie per acquistare lo spirito di orazione; senza queste virtù non c’è orazione; e senza orazione il Carmelo non è nulla. Questa orazione consiste, secondo S. Teresa di Gesù la nostra madre, in un colloquio intimo con il Signore dal quale ci sappiamo tanto amate; quindi, più che molto pensare, l’orazione (o meditazione) consiste nel molto amare. Però si deve dare più importanza all’esercizio interno che esterno di questa virtù, perciò guerra accanita all’amor proprio in tutte le sue manifestazioni».
Anche nell'ultima lettera, del 10 settembre 1959, le consuete raccomandazione sono ribadite con molta semplicità e grande forza: «Sii sempre generosa nell’abbracciare tutto ciò che ti fa rinnegare la propria volontà e che ti costa sacrificio … Così ti preparerai meglio alla vita Carmelitana che viene vissuta nella mortificazione totale per arrivare attraverso l’orazione all’unione con Dio. A tutto questo ti deve stimolare e spingere l’amore, l’amore per Lui, per Lui solo … Vivi nell’intimità del tuo cuore come in una piccola e solitaria cella: ricordati che Lui vuole rimanervi da solo, quindi distacco, distacco completo da tutto e tutti, per amare pienamente».
È davvero un duro e bel programma di vita contemplativa e non solo di preparazione ad essa. Ovviamente Suor Ancilla lo proponeva, solo perché anch’essa lo aveva concretamente vissuto, ed anzi lo stava allora vivendo.
La corrispondenza con Filomena Barsanti
Oltre ai carteggi ed alla corrispondenza che sono stati esaminati e riportati da Giuseppe Bicocchi, mi è capitato di leggere anche una serie di lettere, che il Bicocchi non aveva visto, inviatemi da Marta Barsanti, tramite Agnese Garibaldi, nel mese di ottobre 2014.
Si tratta di 24 lettere, scritte da Sr. Ancilla a Filomena Barsanti, residente a Lucca in località Vallebuia, in lungo lasso di tempo, che va dal 1943 al 1958. Nella casa di Filomena, che viveva con le figlie Maria e Marta, Dora Motroni aveva soggiornato spesso, quando si trovava a Lucca come dirigente dell'Azione Cattolica. In casa Barsanti erano avvenuti diversi "episodi particolari", a cui Filomena e le figlie avevano assistito, come testimonia Marta, citata in diverse parti di questa pubblicazione.
Le lettere del 1943 sono antecedenti all'ingresso di Dora nel Carmelo, avvenuto il 2 febbraio del 1944.
La prima missiva è scritta su di un piccolo cartoncino ed è datata 22.2.943. Dora, che ha 27 anni, inizia lo scritto, con calligrafia piccolissima ma molto leggibile, con l'invocazione "Ave Maria!", dopo la quale scrive: "Mia buona signora, è già parecchio tempo che non ci sentiamo, ma pure le assicuro che non l'ho mai dimenticata nella mia povera quotidiana preghiera, e sono sempre a sua disposizione presso Gesù e la Mamma alla quale chiedo ogni giorno per lei e per i suoi la Sua materna benedizione. Sappia fortemente credere nella Divina Misericordia e Bontà infinita, per poter abbandonarsi totalmente nella Divina volontà. Gesù Amore la predilige e la Mamma provvederà a tutto: Condizione essenziale per ottenere tutto da Loro è la fede. "Tutto ciò che chiederete pregando, credete di riceverlo e l'otterrete" (Vangelo). S'intende tutto quello che non è contrario ai disegni divini su di noi. Quindi buona Signora lasci fare a Lui e si fidi di Lui. E' Padre Buono, noi figli suoi, siamo oggetto continuo del Suo infinito Amore. Perchè temere? Non ci chiede Egli prove, dolori, superiori alle nostre forze e qualora volesse di più ci rinforza colla Sua Divina grazia, in modo che si possa ripetere con l'Apostolo: "Tutto posso in Colui che mi conforta". Saluti Maria e Marta. Con soprannaturale affetto unite nel Divin Cuore, dev.ma Dora".
Una lettera che non ha bisogno di commenti.
Anche nella successiva, del 6 ottobre del 1943, Dora cerca di confortare Filomena nelle sue grandi tribolazioni del momento (siamo all'indomani dell'armistizio dell' 8 settembre '43 ed agli inizi della guerra civile che insanguinerà l'Italia fino all'aprile del 1945). Dora scrive: "Stia contenta, serena in mezzo alle dure prove che più o meno tutti stiamo soffrendo...chiediamo con fiducia piena la grazia della pace...Si, buona Signora rimanga in pace in mezzo a tante pene, la Mamma provvederà a tutto ciò che il suo cuore materno desidera. Ripeta spesso: "Mamma pensaci Te" nei momenti di maggior trepidazione e poi non si preoccupi". Nella conclusione della lettera, Dora, rivolge a Filomena due appelli: "Le ripeto che sono ancora a sua disposizione, mi offra, benchè sia poca cosa"; ed ancora, alla fine: "In unione di preghiera e sofferenza con soprannaturale affetto in C(risto). I(mmacolato). Dora".
E con un appello, che a noi appare incomprensibile, Dora conclude anche la lettera del 1.12.1943, l'ultima scritta prima di entrare nel Carmelo: "Nel dolore e nella preghiera rimaniamo strettamente unite, non si dimentichi dell'offerta. Dev.ma Dora".
Le lettere successive non sono più firmate da Dora, ma da Sr. Ancilla, che scrive a Filomena dal "Monastero di S. Teresa" di Borgo a Mozzano (lettere del 1945 e le prime del 1947). Dopo quella data sono tutte scritte dal monastero "Regina Carmeli di Monte S. Quirico".
In diverse missive, Sr. Ancilla, anche a nome della Madre Priora, ringrazia Filomena della generosità, sua e della famiglia, verso il monastero, a cui la Barsanti fornisce regolarmente l'olio, facendo sconti speciali e, soprattutto, aspettando che le suore le inviino il denaro, quando lo hanno, senza mai far solleciti.
A scrivere una lettera dell'ottobre 1945 è la Madre Priora, che ringrazia Filomena per gli aiuti generosi al monastero; Sr. Ancilla aggiunge un piccolo saluto: "Buona Signora sempre la ricordo a Gesù e alla Mamma Celeste insieme ai suoi cari figli...".
Il carteggio vede poi varie lettere, scritte quasi sempre in occasione del S. Natale e della Pasqua, fino all'ultima, datata 17.9.58. In questa, Sr. Ancilla acclude una somma "a saldo dell'olio" e invoca il Signore perchè Filomena sia ricompensata "per lo sconto fatto e per avere atteso così a lungo il pagamento". Poi torna sui problemi che affliggono la Barsanti: "In Paradiso - scrive Sr. Ancilla - godrà per sempre il frutto copioso e abbondante raccolto nel dolore e nella rinuncia di ogni giorno e ne godranno anche i suoi Cari...". La firma a chiusura: "Nel Signore dev.ma Suor Ancilla Maria della Croce".
La corrispondenza con la cugina Norma
Altre lettere che mi è capitato di leggere, mentre riordinavo il materiale di questa pubblicazione, sono quelle che Sr. Ancilla scriveva alla cugina Norma Motroni di Borgo a Mozzano; corrispondenza che mi è stata consegnata da Claudia Nicoli.
Norma era figlia della zio Cherubino che, al rientro di Dora e dei fratelli, con la madre Caterina, dagli Stati Uniti, si era occupato dell’educazione dei ragazzi, fino al rientro del fratello Alberto. Alla cugina, sposata e con due figli, Sr. Ancilla rivolgeva frequentemente le sue attenzioni, interessandosi della salute e dell’educazione dei bimbi e assicurando sempre le sue preghiere. Alla cugina rivolgeva anche richieste di aiuto per il monastero e per famiglie bisognose, per le quali chiedeva i vestiti dismessi dei figli Paolo e Claudia. Norma accoglieva sempre le richieste di Sr. Ancilla ed inviava con generosità aiuti che, nelle lettere, vengono definiti “provvidenza”. Si trattava di marmellata, di zucchero e perfino di dentifricio e saponette, che Sandro Nicoli, il marito di Norma, rappresentante della “Ciba-Binaca” poteva facilmente reperire. Con la cugina Sr. Ancilla ha confidenza e le parla anche della sua salute, come in una lettera del settembre 1957: “Mi è venuto il dubbio di non averti ringraziato per il vaglia che mi mandasti qualche mese fa e questa dimenticanza è dovuta alle mie condizioni di salute molto in ribasso. Infatti in conseguenza di coliche di fegato e ascessi in bocca, con l’estrazione di molti denti, sono ridotta abbastanza male in salute, però felice di compiere la Volontà di Dio, perché soltanto in Questa stà la nostra santificazione…”. Nel 1962, scrivendo a Norma, le parla delle condizioni economiche del monastero: “Carissima Norma, non so davvero come ringraziarti di tutto quello che con tanta bontà continui a mandarci. Credi che per noi che attraversiamo un momento molto critico dal lato economico è una vera provvidenza il tuo aiuto così gentile e buono. La tua marmellata è davvero squisita e sopratutto per me che mi nutro così poco a causa del fegato che ho in cattive condizioni…”. La corrispondenza con la cugina Norma continua ed anche la Priora Suor Teresa di Gesù aggiunge, a una lettera del 1991, il proprio ringraziamento per l’offerta utile alla costruzione di un muro del monastero.
Lettere varie
Ritornando al materiale riordinato da Giuseppe Bicocchi, troviamo indicate, tra i documenti meritevoli di essere citati, anche due lettere inviate da Sr. Ancilla ad Anna Piccioli di Massarosa, appartenente ad un gruppo significativo di “Terziarie Carmelitane”, costituitosi a Massarosa.
Sono esempi dei contatti che Suor Ancilla teneva, dal Carmelo, con molte persone, che spesso erano anche benefattori del monastero.
In particolare, in una lettera del 16 dicembre 1953, Sr. Ancilla approva la volontà di Anna – e di un’altra amica – di farsi terziaria Carmelitana mettendosi così in una condizione di vita più perfetta. In una del 18 gennaio 1960, si informa di come va il terz’ordine carmelitano, e poi scrive una frase tipica, che troviamo anche in altre lettere, per esempio a P. Lombardi: «Coraggio sempre e tanta fiducia nel Signore: senza di Lui non possiamo nulla ma appoggiati allo alla Sua forza, possiamo tutto».
Questa frase riecheggia un detto di S. Teresa d’Avila, che con la sua fine ironia dice più o meno così: «Teresa da sola non può nulla; Teresa, con un po’ di soldi e l’aiuto del Signore, può tutto».
Continua Suor Ancilla, nella lettera citata: «Ogni piccola o grande croce deve essere per noi occasione di esercitarsi nell’abbandono in Dio e nel Suo Amore. Vivere senza patire è vivere senza amare; e vivere senza amare è morire. Quindi, come ci insegna S. Giovanni della Croce, il nostro punto sarà patire per Lui».
Sono frasi classiche della spiritualità Carmelitana, ma anche della spiritualità passionista ed in genere della spiritualità cristiana.
Di rilevante spessore sono poi due lettere circolari alle terziarie Carmelitane di Massarosa, soprattutto la prima, scritte il 16 novembre 1955.
Dopo i ringraziamenti per la “grazia di Dio” da loro inviata al Monastero, ricorda loro le esigenze radicali della vocazione Carmelitana: «Coraggio quindi e senza mezze misure; al Carmelo queste sono insopportabili; una vocazione mediocre Carmelitana equivale ad una vocazione fallita».
"Una frase decisa e forte, ma vera e giusta" commenta Giuseppe Bicocchi, "valida non solo per la vocazione Carmelitana, ma anche per ogni autentica vocazione cristiana". Bicocchi ricorda che anche Mons. Mansueto Bianchi, oggi Vescovo di Pistoia, uso la frase: “Soprattutto, non siate mediocri”, aprendo un incontro a Lucca... Le stesse parole che Sr. Ancilla aveva usato circa cinquanta anni prima.
Sr. Ancilla, nelle lettere circolari, indica anche una terapia: "Gesù che ogni mattina ricevete nel cuore vi trasforma in viva fiamma d’amore; al Carmelo bisogna non soltanto bruciare, ma divampare, è una conseguenza del posto che occupiamo nel cuore della Chiesa. Sta voi però lasciarvi trasformare; buttate via una buona volta il vostro bagaglio di amor proprio che appesantisce l’anima, la ingombra inutilmente impedendo alla grazia l’invasione di amore».
Il commento finale del Bicocchi è il seguente: "Sono insegnamenti elevati, di alta spiritualità Carmelitana, ma sostanzialmente applicabili ad ogni autentica spiritualità cristiana".
Esame delle testimonianze
In questa pubblicazione, una parte davvero importante, è rappresentata dalle testimonianze che un gruppo, costituito presso la Misericordia di Borgo a Mozzano, conosciuto ed apprezzato anche dal Monastero di Monte S. Quirico, ha sollecitato ad una serie di testimoni, ancora viventi. Testimonianze a futura memoria, che sono delle manifestazioni di affetto, di stima e, talora, di devozione verso Sr. Ancilla. Le testimonianze sono state raccolte, soprattutto, dalla persona che, più di ogni altra, ha voluto fortemente questa pubblicazione e la valorizzazione del ricordo di S. Ancilla Maria della Croce: si tratta di Agnese Garibaldi, in quel momento Governatore della Misericordia di Borgo a Mozzano e promotrice del "gruppo di preghiera" dedicato proprio a Sr. Ancilla.
Le testimonianze raccolte non verranno pubblicate tutte per esteso, ma esse hanno fatto parte dei materiali che hanno reso possibile la stesura del presente libro.
Giuseppe Bicocchi che, prima di me, ha utilizzato e rielaborato le testimonianze, ringrazia tutti coloro che hanno collaborato, con i propri ricordi, ad aiutare Agnese Garibaldi nel suo intento, scusandosi per l'uso libero, diretto ed indiretto, che è stato fatto di tali materiali, nella stesura di questo testo.
Ed anch' io mi associo con lo stesso sentimento a questa riflessione.
La testimonianza scritta di Madre Teresa
Il contributo più rilevante e determinante è stata, certamente, la lunga articolata, ben meditata ed amorevole relazione scritta da parte di Sr. Teresa di Gesù, spesso citata come M. Teresa; la persona più vicina a Sr. Ancilla nel Carmelo, accanto a Sr. Anna di Gesù.
Tale relazione ha costituito l’ossatura principale del libro: tanto che la relazione stessa è stata utilizzata, quasi integralmente, nel racconto della “vita” di Sr. Ancilla.
Giuseppe Bicocchi scrive: "Il ringraziamento per la diligenza, la serenità, l’acume, l’affetto con cui M. Teresa ha scritto tutto quello che si ricordava è davvero dovuto e sincero. Si deve a lei e a questa sua relazione, se l’idea del libro ha potuto prendere corpo. Prima della sua relazione vi era una “galassia” di notizie, sparse e frammentarie, di difficile lettura ed organizzazione". Ed il Bicocchi sottolinea quanto ha dichiarato Sr. Teresa di Gesù al termine della sua relazione: “Ho scritto in coscienza quello che so di Ancilla Maria. Molto disordinatamente ma con sincerità".
La testimonianza scritta di Marta Barsanti (anno 2006)
Altra testimonianza preziosa è quella rilasciata, per scritto, ad Agnese Garibaldi da Marta Barsanti, amica di Sr. Ancilla, partecipe diretta a molte sue estasi e redattrice di diversi colloqui e preghiere degli anni 1941 – ’43, di cui abbiamo già avuto modo di parlare nelle pagine precedenti.
L’equilibrio della relazione, il distacco critico dalle esperienze eccezionali ed insieme il ricordo incancellabile di esse, fanno di Marta Barsanti una teste davvero eccellente. Abbiamo utilizzato questa relazione soprattutto come premessa all’esame di colloqui e preghiere, ma anche in molte altre parti.
La testimonianza orale della Prof. Rondina
Amica e “figlia” spirituale di Sr. Ancilla, la testimonianza orale della Prof. Rondina rilasciata in una conversazione con alcuni rappresentanti del "gruppo di preghiera Sr. Ancilla", ha le caratteristiche della spontaneità e, come scrive Bicocchi: "di una “scanzonata” devozione verso Sr. Ancilla, davvero unica". Bicocchi ricorda la ferma convinzione della Rondina sulla realtà di interventi miracolosi da parte di Sr. Ancilla verso i figli, e perfino l’episodio della pretesa “bilocazione” di Sr. Ancilla a Venezia. Il tutto però accompagnato da una, non banale capacità critica, che le fa mettere in dubbio, almeno sul piano oggettivo, la sua esperienza della “bilocazione”, ma le fa dare granitica certezza sul progresso incommensurabile ottenuto da Dora – Sr. Ancilla, che passa dalle esperienze estatiche giovanili, alla contemplazione profonda e consapevole della maturità.
Fin dall’inizio, la prof. Rondina, che è stata tra l'altro una importante figura anche della Misericordia di Borgo a Mozzano, di cui ha scritto nel 1997 la "storia dei primi cento anni di vita", ha precisato il rapporto con Dora, dandoci un rapido schizzo del clima spirituale di Borgo a Mozzano dei primi anni '40: «Dora per me non è solo un’amica, ma molto di più. Ai tempi della mia giovinezza, lontana, esisteva un direttore spirituale, e noi dal direttore spirituale dipendevamo. Alle volte la direzione spirituale era un po’ categorica, non si sgarrava. Era lo stesso direttore spirituale il mio ed il suo. Ed io fui affidata a lei perché mi tenesse in conto di figlia. Io non indagai mai perché dovevo essere stata affidata a questa santa, perché così era per me. Sono parole equilibrate e sagge, pur nella personale certezza della santità di Dora, svelata anche da un particolare davvero toccante: «non la toccavamo, quando aveva fatto la santa comunione». Aggiunge la Rondina: «Ho una fotografia di Dora diciottenne e di dietro c’è scritto “sempre uniti in Lui, per Lui , con Lui”. Ecco, lei aveva un' innamoramento per Gesù, il suo Gesù; per cui non concepiva un affetto sulla terra che non passasse da questo sentimento che la legava a Dio. Sono stata testimone di tanti episodi, di tanti fatti che non erano naturali, che non erano di questa terra. Per le cose strettamente legate alla mia intimità, alle vicende della mia vita, quello che posso dire con certezza è che Dora le aveva previste prima. Tanto è vero che, proprio ora quando Agnese Garibaldi mi disse di riportare un po’ alla luce questi episodi, volli rivedere la corrispondenza. Ho molte lettere di Sr. Ancilla: e queste lettere sono tutte preghiere, sono tutte filtrate da questo Gesù, da questi suoi sentimenti. E trovai una pagina del diario che avevo scritto nel 1941, dove descriveva tranquillamente quello che poi avvenne alla fine di settembre del ’42. Tutto si avverò, anche le minuzie».
La Rondina giovane è testimone di fenomeni mistici di tipo estatico, della giovane Dora avvenuti già nella casa di Dora in Borgo di cui parla anche descrivendone i particolari. La Rondina ricorda quando la provocava su Gesù, sul paradiso, e lei le rispondeva sorridente: «C’è il paradiso, c’è il paradiso! » come a placare l’ansia della ragazza e di molti. Bicocchi ricorda la Rondina scherzosa e cita la quella sua "preghiera" molto particolare, che dice di tenere sul comodino: «Dora pensaci tu. Gloria patri. Dora pensaci te". E con lo stesso disincanto il Bicocchi cita anche "un fatto strano" raccontato dalla professoressa: «Io stetti un anno a Venezia, mi ero iscritta alla facoltà di lingue straniere alla Ca’ Foscari. Mi venne un’angoscia tremenda e le chiesi aiuto per telefono. La mattina dopo andai alla Messa nella chiesa dei S. Maria dei Frati, feci la santa Comunione e, nella panca di fondo, c’era Dora in preghiera, come faceva lei quando aveva fatto la comunione...».
Ma la parte davvero interessante della testimonianza è questa: «Ho visto in lei [Dora] una crescita, un perfezionamento nella spiritualità, come lei stessa mi diceva. Quelle cose dei primi anni [le manifestazioni mistiche eccezionali], secondo lei, erano rudimentali, erano preliminari; ma più grandioso è stata - continua la prof.sa Rondina - la capacità di contemplazione; quella è venuta dopo, è venuta proprio dopo… Per me questo è l’elemento più certo di una evoluzione, di un cammino verso la luce, come è stato quello di Dora. Luce che non ha visto subito con l'assoluta perfezione; le si è rivelata via via, sempre di più, maggiormente e con migliore chiarezza». Ed è significativa la conclusione della Rondina: «Mentre non potrei fare una testimonianza scritta di quello che vidi a Venezia – era lei ma non ci parlai – queste cose, però, relative alla sua crescita nella contemplazione, potrei scriverle e firmarle».
Registriamo infine altri particolari della testimonianza della prof.sa Rondina:
«Dora diceva le quindici poste [del rosario] tutti i giorni e diceva: “vedi, questa è la corona della mia giornata”. Una volta andò a Lourdes … e partì vestita da crocerossina perché andava con il treno bianco e assisteva i malati."
Testimonianza scritta di Agostino Motroni (anno 2007)
Quella di Agostino Motroni è una descrizione spontanea e fresca, quasi da "fioretti di S. Francesco", così la definisce Giuseppe Bicocchi, da parte di chi era allora solo un ragazzo del Borgo, che frequentava il convento come nipote del titolare della locale “cereria” per la quale lavoravano le monache, dipanando il cotone necessario per fare i lucignoli.
Agostino è per me un carissimo amico, rampollo di una famiglia molto religiosa (suo zio è stato per tanti anni il Priore della grande parrocchia lucchese di S. Anna). Quando ero ragazzo e vivevo anch'io in quella parte di Borgo che per noi non era Borgo, ma solo San Rocco (dal Santo protettore della Parrocchia) Agostino aveva ereditato e gestiva la cereria di famiglia, che era anche luogo di ritrovo di tante persone che, durante la giornata, facevano compagnia al titolare e agli operai, conversando su qualsiasi tema di attualità, come si usava fare nelle botteghe artigiane, in quel tempo.
Era quindi naturale che nella famiglia di Agostino si parlasse di ciò che avveniva nella parrocchia di S. Rocco; riferisce dunque il Motroni: «sentivo parlare di Dora, la sera a cena; ne parlavano quasi a bocca chiusa, con aria misteriosa». Delizioso questo “parlare a bocca chiusa", secondo il Bicocchi, che rappresenta bene il clima di mistero con cui veniva seguita la vicenda della giovane Dora al Borgo. Il Motroni (che non è parente almeno stretto della futura Sr. Ancilla) andava spesso al Monastero per lavoro «e mi ricordo di questa famosa botola che le divideva dal mondo e le vocine che pareva venissero dall’aldilà». Anche qui viene espresso bene il sentimento di chi visita per la prima volta un Monastero di clausura e l’importanza centrale della “ruota”, che Agostino chiama “botola”. E il testimone Motroni ricorda un fatto, che è una macchia di colore scherzosa ed irriverente, ma non stonata in una storia di per sé tutta santa, bella ed importante: «a proposito della “botola”, un personaggio del Borgo ci mise dentro un gatto e provocò un trambusto che non si sapeva se era più spaventato il gatto o le suore». Questo documenta che il clima del paese non era così tutto surriscaldato dall’attesa del soprannaturale, ma che vi erano anche persone capaci di “scherzi” scanzonati e dissacranti. E conclude la sua testimonianza su Sr. Ancilla con semplicità: «Io la prego e la ringrazio , vorrei tanto pregare Gesù come faceva lei, con la stessa naturalezza e confidenza. Speriamo bene».
Testimonianza di Mons. Pietro Gianneschi
Certamente più importante e profonda è la testimonianza che arriva da Mons. Pietro Gianneschi, attuale parroco di S. Vito, uno dei grossi quartieri fuori dalle mura di Lucca, che è stato ed è una delle figure più importanti del clero lucchese arrivando anche a ricoprire il ruolo di Vicario Generale della Diocesi.
Gianneschi definisce Sr. Ancilla una "donna innammorata del Signore" e suddivide la sua testimonianza scritta in due parti; ma diamo a lui la parola:
a). La tenerezza di una madre testimone appassionata di fede
Non è per me difficile scrivere una testimonianza su sr. Ancilla: da quando prete novello – sulla fine del lontano 1960 – ho avuto il dono e la gioia di conoscerla, è diventata una delle persone più importanti della mia vita.
Ogni giorno compio la mia offerta alla Santissima Trinità – al Padre per Cristo nello Spirito Santo – mediante l’intercessione della Madonna, dei Santi, del “Vescovo” Bartoletti , di P. Tarcisio Ancilli (per oltre trenta anni confessore di Sr. Ancilla ed anche mio), di Sr. Ancilla, ecc.
La “comunione dei santi”, insegnatami da Mons. Bartoletti, mi fa camminare intimamente unito a coloro che già sono in Patria: Sr. Ancilla è tra le prime persone alle quali chiedo di intercedere per me nel mio cammino di sequela del Signore.
Ho davvero ricevuto moltissimo da questa straordinaria Carmelitana, che ha percorso il cammino della santità e ha saputo diffondere il desiderio di raggiungere questo traguardo a quanti ha incontrato e seguito.
In un primo momento mi è stata madre tenerissima, con una fede granitica e soave; poi anche sorella ed amica.
Dal 1961 al 1965 la domenica mattina mi recavo a celebrare la Messa al Carmelo. Fu così che sono entrato in comunione con Sr. Ancilla e, poco alla volta, le ho aperto tutta la mia vita, che ha conosciuto la via dolorosa della Croce.
Sr. Ancilla ha avuto il merito di radicarmi nel mistero di Gesù Cristo sofferente nel Getsemani e, da madre e maestra, mi ha aiutato a consegnare la mia vita ed il mio travaglio al Signore.
Ho ancora in mente le sue parole, il suo volto sempre aperto alla speranza: “Don Pietro tu vivi il mistero di Cristo che soffre e dona se stesso al Padre per la salvezza dell’umanità. Tutto questo rende fecondo il tuo sacerdozio: siine certissimo!”.
Con il trascorrere degli anni il colloquio, da materno, si è fatto amicale ed in ambedue aumentava la confidenza, l’amicizia, l’affetto, la radicale e profonda comunione nel Signore Gesù.
Allora anche Sr. Ancilla mi parlava di sé e delle tremende prove di sofferenza psichica e fisica che aveva passato, fino a trascorrere anche dei periodi fuori dal Monastero.
Un brano della Sacra Scrittura, che in quegli indimenticabili colloqui, quasi sempre le usciva fuori dalla bocca e dal suo cuore era il cap.2 della Lettera di Paolo ai Filippesi: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo…..spogliò se stesso assumendo la condizione di servo… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte….Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome…”.
Sr. Ancilla si fermava con sofferta partecipazione sullo “svuotarsi” di Gesù della gloria, che gli apparteneva di diritto e diceva: “Vedi, Don Pietro, Gesù ha provato l’abbandono, le tenebre; ha lottato contro Satana; si è fatto servo obbediente del Padre; si è abbassato fino a prendere l’ultimo posto!”.
b).- Dalla “nuda fede” alla luminosa visione del volto di Dio
Negli anni nei quali ho svolto il servizio di vicario generale della diocesi ( 1984 – 1992 ), quanto amore per il clero e per la Chiesa tutta, in ogni suo membro, ho imparato da questa eccezionale testimone di Cristo!
Sempre sono rimasto colpito dal cammino di “nuda fede” di questa creatura innamorata del Signore, straordinaria figlia della grande scuola del Carmelo.
I suoi occhi non cessavano mai di essere luminosi ed il suo sorriso, anche quando faceva l’esperienza della “notte oscura”, riusciva sempre a testimoniare la sua vitale esperienza di “essere amata dal Signore”.
Quante volte ripeteva le grandi affermazioni della Lettera di S. Giovanni, che furono poste sul suo ricordo:”Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’Amore che Dio ha per noi. Dio è Amore; chi sta nell’Amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” ( 1 Gv 4,16 ).
Concludendo queste mie affrettate riflessioni, questo ritengo di dover testimoniare con tutto me stesso: quando mi incontravo con Sr. Ancilla, quando la ascoltavo o parlavo con Lei, aldilà e attraverso la sua persona, sempre percepivo di incontrarmi con un’altra Persona, di cui Lei è stata un segno straordinario: Gesù il Signore!
Al tempo stesso bruciava nel suo animo la ricerca instancabile, la sete ardente ed amorosa di incontrarsi e poter contemplare per sempre il “volto” del Signore.
“L’anima mia ha sete del Dio vivente, quando vedrò il suo volto?”.
Carissima Sr. Ancilla, ora tu contempli finalmente il volto di Dio e nella “comunione dei santi” inviti me e quanti hai incontrato lungo il pellegrinaggio terreno a non anelare altro che a raggiungere, per la misericordia di Dio Padre, la Patria eterna, la Gerusalemme del Cielo.
Prega per me, ora più di quando facevi quando eri su questa terra; chiedi al Signore di convertirmi e santificarmi.
Nel chiaroscuro della Fede aiutami a presagire e sperimentare la vita che non ha fine, camminando ogni giorno verso il Signore, da te già raggiunto e con il quale un giorno per sempre saremo e vivremo insieme".
Ho letto più volte questa testimonianza di Mons. Pietro Gianneschi, che assume davvero tratti poetici bellissimi.
Testimonianza di Fra Lorenzo Maria.
Anche il francescano Padre Lorenzo Maria Coli (al secolo Iseo), appartenente all'Ordine dei Frati Minori, ha rilasciato al gruppo della Misericordia, coordinato da Agnese Garibaldi, una testimonianza scritta assai significativa ed importante. Scrive Fra Lorenzo:
"Il mio primo incontro con Sr. Ancilla risale al 28 luglio 1982, mi sembra fosse un mercoledì, e io avevo preso un giorno di permesso dal lavoro perché volevo passare un intera giornata in preghiera. Da più di un anno il Signore mi tormentava cercando di entrare con più forza nella mia vita, ma immancabilmente riuscivo a sciupare ogni occasione, ed era tutta un’alternanza di amore-odio, un tira e molla, cercarlo e respingerlo. Però nella santa Quaresima di quell’anno riuscii a riconciliarmi sacramentalmente con il Padre Celeste e finalmente mi arresi al suo amore e alla sua immensa misericordia.
Man mano che il tempo passava cresceva sempre più in me il desiderio di conoscere il Signore e un’esigenza fortissima di silenzio e di preghiera. Furono proprio il silenzio e la preghiera che mi spinsero a passare una giornata al Carmelo di Monte S. Quirico con Agnese (Garibaldi) allora presidente diocesana di Azione Cattolica.
Ricordo che sin dal mattino abbiamo pregato tanto sia in cappella ma soprattutto nel giardino delle monache al di fuori della clausura. Quella fu anche la prima volta che usavo i salmi per la lode del Signore.
Passammo tutta la mattinata e gran parte del pomeriggio pregando e parlando di Dio e del Suo amore. A un certo punto del pomeriggio Agnese mi chiese se volevo parlare con una monaca, ammetto che mi sentivo un po’ in imbarazzo pensando che non avrei avuto argomenti per dialogare con una persona che vive la vita totalmente dedicata alla lode di Dio, però volevo tanto chiedergli di pregare per me.
Agnese mi accompagnò in un parlatorio dove abbiamo trovato una monaca ad aspettarci, una donna matura con un viso dolcissimo, due occhi pieni di luce ed un sorriso che mi disarmò subito dai miei timori. Dopo le presentazioni fui contento di sapere che era di Borgo a Mozzano, del mio stesso comune, e questo mi mise ancor più a mio agio.
Agnese uscì e rimanemmo soli ed io con mia grande sorpresa incominciai a parlare di me e a raccontargli la mia vita e soprattutto manifestandogli il desiderio della preghiera e delle conoscenza del Signore. Parlai tanto che gli feci un capo come un pagliaio, dissi tutto, meno un atteggiamento sbagliato che avevo taciuto per vergogna e per amor proprio. Questo fatto, dopo qualche giorno, mi riporterà al Carmelo perché mi tormentava tenergli nascosto qualcosa.
Gli avevo chiesto di aiutarmi a camminare col Signore e Sr. Ancilla mi aveva accettato come figlio spirituale e io volevo essere onesto e chiaro fino in fondo.
Tornai quindi e il secondo incontro mi confermava dello stupore che provavo nel vedere tanta pace e capacità umana e cristiana di accogliere un giovane con in suoi desideri, ansie e problemi quotidiani. Appena si presentò alla grata del parlatorio io subito con imbarazzo ma con ferma volontà gli chiesi perdono per avergli taciuto una cosa, ma lei sorridendo mi disse che la conosceva e non c’era bisogno di dirla però feci e feci che di getto gliela dissi e subito mi sentii invadere da tanta pace e gioia e lei prontamente mi confermò: «Io già la conoscevo». Col tempo io ho capito cosa voleva dire perché di fronte a lei io non avrei potuto davvero mentire, il suo sguardo mi leggeva dentro, si proprio così, ho sempre avuto la certezza che mi leggesse nel cuore. Questa sensazione era comunque piacevolissima e mi dava tanta pace e aiuto e piano piano il mio andare al Monastero si fece sempre più frequente.
Sr. Ancilla era sempre pronta ad accogliermi, molte volte infatti sacrificava anche il riposo del dopo pranzo e man mano che il tempo passava mi sentivo sempre più capito e aiutato. Come ho già detto era dolcissima ma allo stesso tempo molto decisa e forte ed esigente quando c’era da correggere miei atteggiamenti. Per lei non esistevano né compromessi né mezze misure, ma era sempre ben chiaro che prima di tutto c’era Dio, il suo Amore e la nostra risposta coerente.
Molte volte mi sono sentito dire: «Noi amiamo perché Egli ci ha amato per primo» oppure «Ama il Signore, ma soprattutto lasciati amare da Lui». Quanto tempo ho impiegato per capire cosa volesse dire lasciarmi amare da Lui, spesso vogliamo essere noi a dettare le condizioni a Dio invece Lui ci chiede l’abbandono filiale. Quanto insisteva sulla misericordia del Signore e quanti inviti ad essere più umile e meno superbo e orgoglioso.
Sr. Ancilla ha sempre riconosciuto in me una vocazione francescana e l’ha sempre alimentata e difesa e quando, dopo tanta lotta ho detto si al Signore ed ho incominciato il cammino di Frate Minore, ne fu immensamente felice e grata a Dio. Tutto questo fu ancora più grande quando l’11 novembre 1993 ho ricevuto la consacrazione sacerdotale e venni a celebrare la prima Messa al Monastero.
Dal 9 ottobre 1984 giorno in cui entrai a Pisa in probandato, fino al 17 dicembre 1994 giorno della sua andata alla casa del Padre è stata veramente preziosa la sua preghiera, i suoi consigli, la sua materna, amorevole e forte parola per il mio cammino di religioso. Quanta fiducia mi infondeva nei momenti del dubbio, quanta speranza nei momenti della prova; conservo ancora alcune lettere dove trovo tanta ricchezza spirituale e quasi un’anticipazione di aspetti che poi avrei vissuto nel tempo.
Devo dire che anche alcuni tratti che oggi caratterizzano il mio cammino di consacrazione è come se me li avesse messi nella mente e nel cuore con il suo esempio e il suo insegnamento.
Alcuni punti principali del suo insegnamento sono:
- il primato di Dio e della vita spirituale,
- l’amore a Gesù Crocifisso,
- la preghiera come espressione di amore e comunione col Signore,
- l’amore alla Parola di Dio,
- amore e obbedienza alla madre Chiesa: Papa, vescovi e per noi sottolineava sempre obbedienza ai superiori,
- un amore tenerissimo alla Madre di Dio e madre nostra la Vergine Maria,
- fedeltà agli impegni presi con la consacrazione religiosa e sacerdotale,
- atteggiamenti di misericordia verso il fratelli nelle loro miserie, evitare giudizi,
- amare e praticare l’umiltà e il nascondimento,
- vivere l’ordinario quotidiano non in modo straordinario e fare tutto per amore di Gesù,
- non aver timore di dire a Gesù: ti amo, anche quando sembra che lo dici solo con la bocca ma dirglielo invece continuamente. E con amorevole ma martellante ripetizione mi invitava a non aver mai alcun dubbio della Misericordia di Dio e del Suo perdono.
Quanto mi ha sorretto e rassicurato all’inizio del mio cammino spirituale e vocazionale, quando la lotta si faceva più dura, e quanta fiducia e speranza mi infondevano le sue parole, i suoi occhi luminosissimi che a volte si riempivano di lacrime parlando dell’ingratitudine e dei peccati che facevano sanguinare le ferite del costato, delle mani e dei piedi di Gesù Crocifisso!
E cosa dire di tutte le astuzie che il maligno usava perché non credessi reale la mia vocazione, che mi voleva convincere che mai sarei riuscito a seguire il mio Dio e ad amarlo con fedeltà?
Ecco Sr. Ancilla smascherava sempre il lavoro subdolo e fine del tentatore e ascoltando il suoi consigli io riprendevo a camminare con più abbandono filiale nel Signore.
Mi diceva sempre:«Affidati alle mani amorevoli della Madonna perché ti introduca nel costato di Gesù, io continuamente ogni giorno ti immergerò nel costato di Gesù». Vicino o immerso in quel costato mi ci sono sentito spesso, anche da quando lei non c’è più, perché la sua presenza amorevole e di protezione io la percepisco sempre e questo è per me un aiuto efficacissimo per rispondere all’amore del Signore.
Un regalo che mi ha fatto è soprattutto l’amore al Vangelo di S. Giovanni, alle sue lettere e alle lettere di S. Paolo. Io rimanevo sempre incantato dalle lunghe citazioni, ma soprattutto dalla ricchezza con la quale le commentava. Un’altra caratteristica che mi preme sottolineare è la conoscenza e la competenza che aveva riguardo a qualsiasi argomento, situazione o problematica che gli veniva presentata. Spesso mi stupivo delle sue risposte e mi chiedevo come facesse ad avere sempre un consiglio appropriato, secondo Dio, la dottrina o la morale della santa Chiesa.
Ora più che mai sono convinto che la sapienza le venisse davvero dall’alto anche perché non avrebbe potuto avere il tempo per leggere o studiare tanti argomenti e documenti.
Confesso che più di una volta sono stato tentato di capire di più e di scoprire la vera Sr. Ancilla, ma non osavo più di tanto per rispetto filiale ma soprattutto perché lei non amava mai parlare di sé, ma sempre e tutto prontamente era riferito al Signore. Comunque a livello di comunione spirituale avvengono dei dialoghi profondi e chiari che non hanno bisogno di parole ma solo di attenzione, accoglienza e rispetto a quello che Dio opera nella vita dell’altro. Qui vedo Sr. Ancilla fedele imitatrice del serafico Padre S. Francesco, da lei conosciuto e amato dolcemente, nel custodire gelosamente i segreti del gran Re.
Testimonianza di Luca Nardi
Importante e significativa è anche la testimonianza di un giovane di Borgo a Mozzano, oggi residente, a Lucca che accompagnando sua madre da Sr. Ancilla, ha avuto modo di conoscere questa figura straordinaria di suora e di apprezzarne le particolarità. Scrive il Nardi: "Avevo circa venti anni quando incominciai ad accompagnare mia madre, circa una volta mese, a trovare Sr. Ancilla a Monte S. Quirico. All’inizio la lasciavo lì e poi la tornavo a prendere circa un’ora dopo. Col tempo la comitiva divenne più numerosa, si aggiunsero Maria e Luisa Amaducci. Così poco alla volta anche io conobbi Sr. Ancilla. Ci furono soprattutto alcune cose che mi colpirono negli anni della nostra conoscenza. Quando le parlavo avevo la sensazione che lei sapesse già quello che stavo per dirle e potevo dirle tutto quello che sentivo e provavo, senza riserve, senza timore, perché lei era lì con quei suoi occhi profondi e assenti nello stesso tempo che infondevano un senso profondo di amore e di comprensione. Credo che anche il più incallito peccatore si sarebbe sentito accolto e amato dal suo sguardo.
La cosa che mi lasciò profondamente colpito fu nel 1988, quando una mia sorella fu operata di tumore. Questo portò tutta la mia famiglia in una profonda crisi, il giorno prima dell’operazione Sr. Ancilla disse a mia madre: «Stai tranquilla, tutto finirà bene»; e ne parlava con profonda serenità come se ne avesse parlato con Gesù poco prima di incontrarci. Mi resi conto che lei viveva il “già e non ancora”. Parlava di Gesù come di una persona fisica, presente, con la quale lei aveva un dialogo quotidiano.
Tutto andò come lei ci aveva detto. Mia sorella è tuttora viva. Ho continuato, da fidanzato e da sposato poi, ad incontrarla anche con mia moglie. Non potremo mai dimenticare il suo sguardo. Tutt’oggi continuo con mia moglie a frequentare il Carmelo.
Dora: la mia prima "fidanzatina”
Tra le testimonianze che Giuseppe Bicocchi aveva raccolto ho trovato anche questa, davvero particolare, di un interlocutore che è stato, volutamente, lasciato nell’anonimato.
“Erano i favolosi anni Trenta( favolosi per me) quando mi innamorai perdutamente di Dora, benché avesse undici anni più di me. Un “amore” innocente, come poteva essere a quei tempi quello di un giovane ragazzo. Dora frequentava la mia casa, che allora si trovava nel palazzo Nicolai, perché amica di mia cugina Maddalena che abitava con noi e faceva, a tutti gli effetti, parte della famiglia. Così ebbi tutto il tempo e l’opportunità per fare germogliare e poi esplodere, nel mio piccolo cuore, quell’amore puro e innocente che è proprio solo dei bambini. Come succede spesso, ora mi tornano alla memoria particolari che sembravano destinati a finire nel dimenticatoio. Dora aveva un fratello, di nome Mario che per tutti è sempre stato “Marietto”; un bel giorno capitò a casa mia con un bel topolino bianco nel taschino della giacca e fu, davvero, una grande confusione.
Poi, un giorno, seppi che la mia cara Dora “aveva preso il velo”, come si diceva una volta; e così credetti di aver definitivamente chiuso la mia storia.
Ora ho un grandissimo rimorso, per non aver più fatto niente per rivederla. Mi mandò anche i saluti per mezzo della cugina Maddalena, con l’invito ad andarla a trovare; ma io non lo raccolsi mai e, perciò, non ho più visto Dora, che non era più la stessa: infatti aveva assunto il nome di Sr. Ancilla Maria della Croce.
A vederne ora la fotografia sull’immaginetta che fu distribuita quando i suoi resti furono traslati nel nostro cimitero di Borgo, riconosco i cari lineamenti, anche se molto trasformati per l’età e per la veste che indossa. Ma, anche se il nome è cambiato, per me è e rimarrà sempre la mia cara, carissima Dora; che mi fa tornare, col pensiero, a quegli anni quando tutto era più chiaro, più puro, più innocente e anche gioioso come il suo sguardo.
Addio Dora. Addio Sr. Ancilla: prega per noi.
Testimonianza di Flora Fini
Mi ha fatto piacere ritrovare tra le varie testimonianze anche quella di mia madre Flora (morta nel 2007) che, come mi è capitato di scrivere nella introduzione a questo testo, era una grande amica e "seguace" di Dora, negli anni giovanili dell'Azione Cattolica vissuta nella Parrocchia di San Rocco a Borgo a Mozzano. Nel suo scritto, richiestole dal gruppo coordinato da Agnese Garibaldi, Flora non entra nel merito delle "particolarità" di Dora, perchè quelle cose facevano parte dei "segreti" che la stessa custodiva con assoluta riservatezza; si sofferma invece sulla vita delle giovani parrocchia.
"Vivevo porta a porta con Dora ed essendo io di diversi anni più giovane, mi ha guidato durante tutta l'infanzia e l'adolescenza, come ha fatto con altre mie coetanee. Era tutto per noi: mamma, sorella, amica. Con lei presidente del Gruppo di Azione Cattolica della Parrocchia di San Rocco, sono stata beniamina, aspirante, giovanissima. A quell'epoca tutte le mattine si andava a Messa e si faceva la Santa Comunione; quando tutte, ognuna per proprio conto, avevamo fatto il ringraziamento e si tornava a casa, Dora si tratteneva in chiesa e noi, una alla volta, andavamo a salutarla. Era una cosa complicata - scrive ancora Flora - perchè la chiamavamo, ma lei era così assorta nella sua preghiera che non ci sentiva; solo quando la toccavamo sulla spalla lei rispondeva al saluto. Era il nostro appoggio e la nostra consigliera".
Flora conferma poi il grande risultato vocazionale di quegli anni nel gruppo di Azione Cattolica parrocchiale, diretto da Don Chicca: "Altre due mie carissime amiche andarono a farsi suore, Linda Orsi e Renata Giusti, che tutti al Borgo di sicuro ricordano (Linda era sorella di Osvaldo che poi è stato Sindaco e Renata era la figlia della fruttivendola Rita, che aveva bottega vicino a piazza Pascoli o meglio "al ponte pari" come si diceva allora".
Nella sua testimonianza Flora prosegue descrivendo la vita degli anni '30 nella comunità parrocchiale: "Le nostre domeniche erano bellissime; si andava nell'oratorio a giocare, fino all'ora del Vespro; dopo tornavamo a giocare con la nostra onnipresente presidentessa Dora. Durante l'anno si organizzavano recite e il ricavato delle offerte raccolte veniva mandato all'Università del Sacro Cuore di Milano. Ai vestiti pensavano Palma D'Olivo e Maddalena, che abitavano in palazzo Santini e cucivano abiti adatti ad ogni personaggio. Quegli anni vissuti sotto la guida di Dora sono stati periodi della mia vita meravigliosi; penso che se la gioventù di ora potesse vivere in quel modo capirebbe cosa è la felicità".
Testimonianze di Dora Cavallini, Ivonne Bergamaschi e Lodovica Sarti
Mentre completavo la stesura di questa pubblicazione, alla luce delle testimonianze già raccolte, ho contattato anche alcune "coetanee" di Sr. Ancilla che, sia pure di qualche anno più giovani di lei, avevano condiviso gli anni giovanili nell’Azione Cattolica e nelle attività parrocchiali a San Rocco di Borgo a Mozzano.
La prima che incontrato è stata Dora Cavallini, classe 1920, lucidissima nel ricordo dell’amica Dora Motroni che, tuttora, considera sua guida spirituale, come ai tempi dell'Azione Cattolica. Ricorda la rigidità degli insegnamenti e dei comportamenti, a cui tutte le giovani della Parrocchia di San Rocco venivano costantemente richiamate dal parroco don Chicca, facendo il paragone con l'oggi. La Cavallini, negli anni giovanili, come altre ragazze, giovanissime (siamo alla fine degli anni '30) lavorava alla “metallurgica” di Fornaci di Barga, facendo il turno a giornata. La partenza per il lavoro avveniva con il treno delle 5,45; ma prima di partire, ogni mattina, il gruppo delle ragazze (due addirittura provenivano da Corsagna) si recava nella chiesa di San Rocco, per pregare e ricevere la Santa Comunione dal Parroco che, volentieri, apriva la chiesa per loro alle ore 5. Ad aspettarle, per augurare la buona giornata, c'era sempre la Dora Motroni, che futura Sr. A La Cavallini partiva per il lavoro, mentre Dora Motroni rimaneva ogni giorno in chiesa a pregare, aspettando la celebrazione della S. Messa, trattenendosi sempre almeno fino almeno alle ore 8.
Per la nostra intervistata "Dora Motroni è sicuramente una santa, vogliosa di pregare e di aiutare tutti coloro che avevano bisogno".
"Una volta - ricorda - accompagnò il dottor Salvi (medico condotto) da una famiglia che viveva sopra Cerreto, dove c'era un bambino gravemente ammalato e in pericolo di vita. Mentre il dottore faceva il possibile per curarlo, Dora Motroni, consolava la famiglia pregando insieme a tutti i membri, che stavano in trepidante attesa". La Cavallini ricorda anche che uno dei luoghi in cui le giovani dell' Azione Cattolica si ritrovavano era il Convento dei Frati del Borgo, per lo svolgimento di attività comuni con le donne del Terz'Ordine, allora assai fiorente. In particolare, ricorda un grande pranzo per i poveri fatto in occasione della festa di S. Antonio da Padova, dove anche Dora Motroni serviva ai tavoli.
La Cavallini è tutt' oggi orgogliosa del fatto che il Parroco Don Chicca le chiedesse, spesso, di accompagnare Dora nei vari impegni di dirigente dell'A.C. o nelle varie "gite" domenicali che consistevano nell' andare all' "Eremita", a "Serra" o in altri luoghi di preghiera e di incontro, sempre a carattere religioso, viaggiando in bicicletta o a piedi.
Nel raccontare di Sr. Ancilla, l'amica di antica data, fa una considerazione finale molto bella: "Dora, secondo me, era stata prescelta. Tutti si prega, ma lei aveva avuto un dono più particolare di altri".
Anche Ivonne Bergamaschi, che vive a Borgo a Mozzano, mi conferma i racconti e le valutazioni della Cavallini. Anche lei, nata nel 1920, ricorda con grande lucidità ed affetto l'amica Dora Motroni, dicendo: "Mi aiutava in tutto; era amica, sorella, guida. Tutte sapevamo dei suoi momenti di estasi durante la preghiera, ma per noi, che la conoscevamo bene, era cosa normale, perchè lei era speciale".
Anche Ivonne, come del resto mia madre, lavorava, appena quindicenne, alla SMI di Fornaci di Barga; ma in tutti i momenti di vita in paese la futura Sr. Ancilla era il loro punto di riferimento.
Ivonne ricorda la morte di una giovane amica, per tisi; dal Carmelo del Borgo Sr. Ancilla mandò un piccolo cuscino di fiori che lei stessa aveva confezionato; "in quei fiori - dice Ivonne con gli occhi pieni di lacrime - tutte noi vedemmo l'amore e la preghiera della nostra amica suora".
Ivonne, dal 1952 al 1989 ha vissuto a Perth in Australia, ma spesso scriveva
all'amica suora, specialmente per confidarle i suoi problemi ed i suoi affanni.
"Una volta - ricorda - avevo un gravissimo problema personale, che poteva cambiare in maniera tragica la mia vita e quella di altri. Scrissi a Sr. Ancilla per un consiglio e una preghiera; ottenni aiuto e la positiva soluzione di quella grave questione. Non lo dimenticherò mai". Al rientro dall'Australia, Ivonne volle subito andare a trovare la vecchia amica, insieme al Parroco di San Rocco Don Raffaello Orsetti: "fu un incontro commovente - commenta - vederla dietro la grata e ritrovare il suo sorriso".
L'ultima delle persone che hanno conosciuto Dora Motroni, giovane, a Borgo a Mozzano, è Lodovica Sarti. Nata nel 1931, ha i ricordi di una bambina. Lodovica viveva nella Parrocchia di San Iacopo e, a quei tempi, le due parrocchie borghigiane erano un pò "mondi separati". Lodovica conosceva però molto bene Maria Palagi, che seguiva i giovani di San Iacopo nella preparazione ai Sacramenti e, tramite lei ha sentito i racconti e le notizie su Sr. Ancilla.
"Ho sempre sentito parlare di Sr. Ancilla come una persona speciale - commenta Lodovica - ed ogni giorno vado al cimitero, dico una preghiera sulla sua tomba e procuro che abbia sempre un fiore...".
Testimonianza di Agnese Garibaldi
Ho volutamente lasciato per ultima la testimonianza di Agnese Garibaldi, la persona che con il suo impegno e la sua determinazione ci ha fatto arrivare al traguardo di questa pubblicazione e che ha stimolato e raccolto, assieme ad un gruppo di persone volenterose, tutte le altre testimonianze e tutta la documentazione su cui ha lavorato Giuseppe Bicocchi. Sentiamo dunque il racconto di Agnese: "Nel settembre del 1955 avevamo partecipato a Lucca ad un convegno diocesano per le giovanissime della Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Dal Borgo eravamo un bel gruppo e, a piedi, terminato il convegno, andammo a concludere la nostra giornata alla ex Villa Orsetti di Monte S. Quirico dove, da alcuni anni, risiedevano le monache Carmelitane dopo la loro partenza da Borgo a Mozzano.
Le monache stavano con noi nel parco della villa, ascoltavano i nostri discorsi e le nostre barzellette, ci dicevano qualche parola buona, ci esortavano ad essere fedeli a Gioventù Femminile, a voler bene al Signore e a fare apostolato. Alcune di noi poterono parlare a tu per tu con qualcuna di loro. Ebbi così un breve colloquio con Sr. Ancilla e diventammo amiche.
Periodicamente tornavo al Carmelo di Monte S. Quirico con Virginia Palagi, che andava a trovare Sr. Gemma, sua sorella, anch’ essa carmelitana. E così continuarono i colloqui ed io approfondii l’amicizia con Sr. Ancilla.
Don Udone Diodati, pievano di Decimo, mi parlava spesso di Sr. Ancilla, della sua generosità, carità, fedeltà all’apostolato e al Signore, della sua santità. La conosceva molto bene, sia per il servizio che Dora aveva fatto alle parrocchie, come delegata di plaga (di zona) della Gioventù Femminile, incontrando le giovani in moltissime occasioni, sia per essere stato per qualche tempo anche suo confessore. In particolare mi è rimasto in mente un episodio raccontatomi da lui: la vigilia della festa dell’Immacolata Concezione, Dora era rimasta a dormire nella canonica di Decimo, perché l’incontro con le giovani si era protratto fino a tarda ora. Don Udone e sua sorella Marzia rimasero tutta la notte alzati in stupore, meraviglia e preghiera, ascoltando quanto Sr. Ancilla diceva a Gesù e alla Madonna, durante una lunghissima estasi. «La mattina dopo, quando Dora in bicicletta partì dalla sua casa verso Borgo a Mozzano, io mi trasferii per sempre in quella piccola stanza, piena del profumo dei santi, che era stata testimone delle meraviglie che Dio andava operando in Dora Motroni, e non l’abbandonai mai più» questo mi disse il Pievano diecimino, commosso fino alle lacrime.
Quando potei prendere la patente di guida e comprarmi un’automobile, non solo mi recavo frequentemente da Sr. Ancilla, ma accompagnavo da lei quasi ogni volta un giovane, una ragazza, qualche professionista, qualche madre di famiglia, qualche insegnante ecc... ai quali avevo parlato in precedenza di Sr. Ancilla e del bene che faceva alle persone che poteva incontrare. Quante situazioni difficili, quante insicurezze, angosce, preoccupazioni, si sono risolte in bene! Si, perché chi incontrava Sr. Ancilla, si sentiva capito, compreso, amato subito, anche se lei non faceva sconti e diceva le cose chiare; ma soprattutto perché le persone sentivano che da quel momento i loro problemi non erano soltanto loro: un’altra persona, vera, concreta, con il volto sorridente e gli occhi di cielo, ormai aveva preso sulle spalle il loro pesante fardello. Poi le persone, una volta imparata la strada, continuavano a recarsi personalmente da Sr. Ancilla, per trovare aiuto, conforto, preghiera. Nell’Azione Cattolica diocesana, a quel tempo, si era soliti andare anche in gruppo (educatori, giovani, adulti, dirigenti di A.C.) a pregare al Carmelo di Monte S. Quirico e, da un certo punto, tutti insieme potevamo avere incontri con le Monache e con Sr. Ancilla in particolare.
Diversi giovani e ragazzi hanno avuto incoraggiamenti e conferme della loro vocazione nei colloqui con Sr. Ancilla, la quale aveva grande fiducia, oserei dire certezza assoluta, dell’intervento di Dio nel cuore di ogni persona e delle generosità di ognuno nel cercare di rispondere al Signore.
Qualche volta mi permettevo di darle qualche “prudente” consiglio: «con quella persona c’è poco da fare, non è costante, non si impegna, è tempo perso...». E lei: «no, tu cerca di mantenere con loro la tua amicizia, la tua vicinanza. Se vogliono, portali al Carmelo. Io prego per ognuno, personalmente giorno e notte. Credici! Vedrai le meraviglie di Dio».
Per me, per la mia vita, la presenza di Sr. Ancilla è stato un dono immenso della Misericordia di Dio. Cercavo di non recarmi al Carmelo tanto spesso, per non essere di disturbo, ma sentivo una grande attrattiva verso Sr. Ancilla, perché mi leggeva nel cuore prima che io iniziassi a parlare. Ascoltava quanto le andavo esponendo e ogni volta “leggeva” i miei resoconti alla luce della parola di Dio e dell’amore di Gesù crocifisso.
E sentivo che era vero quello che mi diceva. Pur essendo a conoscenza di alcuni episodi straordinari, accaduti nella sua vita prima del suo ingresso al Carmelo, quando in tutte le parrocchie della valle le giovani la ritenevano già santa e i parroci confermavano questa opinione, vedendo i frutti prodotti dal suo apostolato, io, per educazione, pudore, rispetto, non le chiesi mai niente.
Mi bastava vederla così: il suo volto che si infiammava mentre mi parlava e diventava luminoso, il suo sorriso pieno di bontà e di comprensione e soprattutto i suoi occhi.
Nei suoi occhi io vedevo quello che lei vedeva: quello che mi diceva risplendeva nei suoi occhi: «Dio ti ama, Dio ti perdona, Dio pensa a te sempre, Dio dimentica tutti i tuoi peccati, te li perdona, ti fa nuova ogni momento. Gesù carica sulle sue spalle con la Croce tutti i tuoi pesi. Gesù ti è vicino, ti aspetta, ti lava con il suo sangue, ti immerge momento per momento, anche ora, nelle sue piaghe, ti colloca stabilmente nella ferita del suo costato insieme a tutte le persone che ti stanno a cuore e per le quali soffri e offri, insieme ai giovani e agli adulti che incontrerai dappertutto, ovunque andrai. ... Italia, Africa, America Latina, Europa... e abbraccia anche i tuoi carcerati, suoi prediletti. Tutti egli prende e sostiene, non temere... Vai!»
Non erano solo parole: era una forza luminosa che sgorgava dal suo cuore. Io la guardavo negli occhi e vedevo quello che mi stava dicendo. Vedevo il Signore nei suoi occhi pieni di carità e amore. E mi sentivo riempire di sicurezza, di fede, di fuoco.
Questo mi trasmetteva Sr. Ancilla attraverso la grata del Carmelo soprattutto quando invocava su di me lo Spirito Santo, posandomi le mani sul capo.
Ricordo in particolare il colloquio nel quale Sr. Ancilla, citando S. Giovanni, mi parlava di Dio che è amore e che ama per primo e che non smette mai di amarci... La interruppi dicendo: « Dio mi ama, anche dopo quanto tu mi hai detto, ne sono certa, ma io lo amo o sto ripetendo solo parole?». Non so descrivere i suoi occhi e il suo viso, che porto vivo nel cuore, quando mi rispose sicura: «Si, lo ami anche tu!». Ed io: «Me lo dici per consolarmi o te l’ha detto Lui». E lei ancor più infiammata d’amore: «Si, me l’ha detto Lui!».
Altre testimonianze
Di sicuro il gruppo che raccoglieva le testimonianze aveva in animo di contattare altre persone, anche molto importanti ed influenti, che hanno avuto modo di relazionarsi con Sr. Ancilla: tra questi Padre Raniero Cantalamessa ed il Vescovo lucchese Mansueto Bianchi; ma la morte imprevista di Giuseppe Bicocchi ha fermato questo processo.
A Mons. Mansueto Bianchi, già Vescovo di Pistoia e oggi Assistente Nazionale dell'Azione Cattolica, abbiamo affidato la prefazione di questa pubblicazione.
Chi è Suor Ancilla
Avvicinandoci alla conclusione di questa pubblicazione voglio lasciare spazio alle considerazioni finali che Giuseppe Bicocchi aveva tentato di tracciare:
"Tentare una presentazione conclusiva - scrive il Bicocchi - su “chi è Sr. Ancilla”, è probabilmente ancora impossibile e comunque al di sopra delle mie attuali forze.
Voglio limitarmi a ripetere anzitutto il delizioso “quadretto psicologico” tracciato con fine comprensione da parte di Marta Barsanti.
«Posso dire che era una persona intelligente, equilibrata, di carattere allegro, anche furba [deliziosa sottolineatura, corrispondente alla verità, dei suoi occhi anche “furbi”, in senso buono si intende], capace di dare dei giudizi anche negativi, capace di esternarsi, premurosa e sensibile, a conoscenza dei problemi più delicati della vita. A questo proposito, mi fece capire di conoscere certi aspetti di alcune persone – specialmente uomini - in situazioni non regolari: “Sapessi il Signore quanto li ama” mi disse. Mi fece meraviglia questa esperienza dovuta forse ai colloqui in parlatorio».
È un quadretto fresco e vero che ce la fa rivedere pronta, viva, attenta, gioiosa e sorridente: sì, anche “furba” ed esperta della vita. La Barsanti aggiunge «era puntuale agli orari della comunità [quante volte ho protestato perché mi piantava in asso, non appena suonava la campanella!]; era attenta a tutti i bisogni; era larga e comprensiva di tutte le esigenze di ogni ceto sociale. Non perdeva mai il controllo della sua persona, anche quando si sentiva molto male. (Questo mi disse Sr. Anna)».
Non ci sono dubbi che al Borgo Dora fosse considerata una “santa”, una “santina”: anche per il suo comportamento morale e per il suo grande impegno di apostolato nell’Azione Cattolica: era considerata “la migliore”. Ma è indubbio che sono stati i fenomeni carismatici eccezionali delle estasi, quelli che hanno generalizzato la fama della “santità” della giovane Dora Motroni.
Dopo l’entrata al Carmelo, al di là di qualche incarico dirigenziale accettato solo per obbedienza, Sr. Ancilla ha teso ad essere ed è stata in concreto, solo una “monaca qualunque”, per vivere nel nascondimento e nel silenzio la propria vocazione. Di tale nascondimento, tutto il Carmelo è stato “complice” con piena convinzione. E così sulla “santità” di Sr. Ancilla erano rimaste solo voci isolate, in particolare di chi l’aveva conosciuta nel periodo giovanile e ne rendeva ancora testimonianza. Al Carmelo, come si è visto, si “frenava” dicendo: “se son rose fioriranno”. Ma la necessità di adibirla – come monaca anziana, sapiente e con molte conoscenze – al parlatorio, ha impedito che il seppellimento fosse completo ed ha posto Sr. Ancilla in contatto con molte persone: in un ristretto cerchio delle quali la convinzione della sua “santità” è venuta progressivamente crescendo, ed anzi aumentando, dopo la sua morte.
Se tutta la Chiesa è “esperta in umanità”, Sr. Ancilla è davvero un’ “anima ecclesiastica”, perché la sua caratteristica è proprio quella di essere stata esperta in umanità. “Era umanissima” ci racconta M. Teresa; e questo aspetto è stato confermato da tutti i testimoni. Riceveva molta gente in parlatorio ed era sempre pronta a dare consigli: prudenti, saggi ed illuminati. Ed era soprattutto pronta a prendere in carico tutte le situazioni, anche le più brutte e gravi, sempre con il sorriso negli occhi, sulla bocca, nel cuore. Sul punto ritorna anche M. Teresa proprio a chiusura della sua testimonianza: “Consigliava molte persone che venivano a trovarla con una certa frequenza. Si trattava spesso di persone sposate, che si trovavano in momenti di difficoltà. Io mi chiedevo – ed a volte l’ho chiesto anche a lei – come faceva a dare consigli alle persone sposate dal momento che era ignorante riguardo ai rapporti coniugali ecc… A Borca di Cadore, una volta, dopo una lunga passeggiata, essendo sedute, il discorso cadde su tanti argomenti. Sr. Ancilla mi fece alcune domande ed io le potei dire qualcosa di quanto sapevo circa la fisiologia umana [M. Teresa è laureata in farmacia]. Evidentemente lo Spirito Santo la deve avere illuminata, perché diverse persone mi hanno detto di aver trovato molto saggi i suoi consigli nei loro momenti di difficoltà a livello di coppia.
Abbiamo più volte visto la varietà dei suoi rapporti con persone di ogni ceto e grado sociale e dei più diversi filoni di spiritualità. Di tutti si faceva carico con semplicità, verità ed amore. Alle personalità come Padre Lombardi e Padre Cantalamessa, di vari sacerdoti, seminaristi ecc… Marta Barsanti aggiunge la Contessa Minutoli Ciquita e la Contessa Sardi. Ma lei non faceva alcuna distinzione: curava la pecora grassa come la magra, per amore di Cristo e di Dio che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Sr. Ancilla accoglieva figli e figlie, come Maestra e Madre, pronta a pagare il prezzo della loro salvezza, con tutto l’amore ed il dolore necessario. Non amava certo fregiarsi di tali titoli né avrebbe acconsentito ad essere così chiamata; e forse sarebbe scappata solo al sentirselo dire. Ma è stata Maestra, perché ha dato “consigli” a tanti di noi, e soprattutto è stata Madre spirituale, anzi più semplicemente Madre. Un padre spirituale dovrebbe essere sempre anche una madre spirituale: perché dovrebbe “partorire nel dolore” i suoi figli, come faceva S. Paolo e Sr. Ancilla, come già Dora Motroni, chiedeva le anime, promettendo che sarebbe stata la loro madre e le avrebbe poi curate con grande dolore.
Epitaffio finale
Lascio ancora la parola a Giuseppe Bicocchi in questo capitolo dal titolo un pò particolare (che ho volutamente lasciato così), nel quale riporta due giudizi molto, molto significativi sulla figura di Sr Ancilla ed alcune sue considerazioni.
1) Il “giudizio” di Padre Ancilli
Avviandomi alla conclusione - scrive il Bicocchi - uso la parola “giudizio” tra virgolette, in senso lato ed atecnico, per una valutazione breve e riassuntiva della persona di Sr. Ancilla.
Il “giudizio” di maggior rilevanza è necessariamente quello del suo confessore e padre spirituale per quasi 50 anni, del Carmelitano P. Tarcisio Ancilli.
Come già notato altrove, ci manca davvero una valutazione più generale ed ufficiale da parte del suo confessore e padre spirituale, che darebbe il suggello di una qualche ufficialità a tutto il nostro interrogarci. Ma «vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare». A noi restano due laconici ma importanti ed impegnativi giudizi, rilasciati da P. Tarcisio.
Il primo è ricordato da M. Teresa, quando il padre le disse dopo la morte di Sr. Ancilla: «E’ stata di un’ubbidienza eroica». Il secondo, vero epitaffio conclusivo, è riportato nel “necrologio” in cui si afferma: «il padre confessore ha potuto renderle questa testimonianza: “è stata fedelissima alla consegna”». Può sembrare poco, ma non lo è; perchè, formulato da parte del rigorosissimo e riservatissimo confessore, è un “giudizio” sintetico, ma essenziale e definitivo.
Mi viene in mente - continua il Bicocchi – la frase latina "absit iniuria verbis", il «tutto è compiuto» di Gesù sulla croce; ed anche la valutazione sintetica di S. Paolo: “ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.
Sr. Ancilla - conclude - è stata “fedelissima alla consegna” ricevuta da Gesù fin dalla giovinezza. Non le restava che attendere, sempre con S. Paolo, «la corona di gloria».
2) Il “giudizio” di Madre Teresa
Il secondo "giudizio" Bicocchi lo affida al necrologio scritto da Suor Teresa di Gesù, riportandone la conclusione e facendo una premessa: il "necrologio" è uno scritto anonimo e collettivo, ma attribuibile a M. Teresa: «Le piaceva il canto “nella notte o Dio noi veglieremo”; lei stessa lo aveva più volte cantato con le sorelle. Dopo aver vegliato a lungo nella sua notte, improvvisamente verso le 22 del venerdì 16 dicembre, entrò in coma. Non poté dire nemmeno una parola: il Signore l’avvolse nel mistero della Sua Croce, del Suo Silenzio facendola passare dall’oscurità della notte alla luce radiosa della Sua Resurrezione. La gloria di Dio a cui Sr. Ancilla sempre anelava con profondo desiderio, finalmente si svelava ai suoi occhi per rivelare a noi le meraviglie del suo amore». E la relazione di Madre Teresa conclude così il racconto della sua morte: «la Mamma, che tante manifestazioni di affetto le aveva dato, era venuta a prenderla».
3) Devo fare l’obbedienza.
Questa frase di Dora risuona come un ritornello nei suoi “colloqui e preghiere” in estasi.
«Come permette l’obbedienza». «Vai piano, devo fare l’obbedienza, oh Gesù» e «sono pronta, ma rispettiamo l’obbedienza»; ed infine «ricordati Gesù, devo fare l’obbedienza».
Fare l’obbedienza al confessore, significa per Dora giovane, non «rompere la tela al dolce incontro» (per dirla con S. Giovanni della Croce), non lasciarsi andare al desiderio di stare con Gesù e del paradiso, fino a morirne. “Fare l’obbedienza” è spiegato qua e là nei “colloqui”, vuol dire “vivere … faticare …soffrire…”. Il tutto “per amore e nell’amore, offrendosi vittima sacrificale per i peccatori, in particolare per i sacerdoti: “vivere nell’amore… poi morire nell’amore … per venire in eterno ad amare l’amore”.
Questa è stata la missione che Dora ha sentito da giovane, questa è stata la missione vissuta da Sr. Ancilla Maria della Croce, fin dai primi tempi del Carmelo, questa è stata la “consegna” alla quale è rimasta fedele fino all’ultima ora della sua vita.
4) Il sorriso negli occhi
Per concludere davvero, riprendo una notazione verissima e fondamentale, contenuta nella testimonianza della Prof.ssa Rondina: «Poi l’allegria. Ecco, nel dolore e nella sofferenza, l’allegria e la gioia. Non esiste un volto di Dora – Sr. Ancilla serio, pensoso. Perché nel dolore lei gioiva».
Mi pare questa la sintesi di ogni santità cristiana, e lo è quanto meno della “santità” di Sr. Ancilla Maria della Croce.
CONCLUSIONE
Tutto il materiale raccolto è rimasto fermo per lungo tempo, finchè, dopo una valutazione fatta con Agnese Garibaldi, oggi vice governatore della Fraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano, abbiamo deciso di rompere gli indugi e di dare alle stampe questa pubblicazione, non senza aver cercato il consenso e l'approvazione delle Carmelitane del Monastero di Monte San Quirico.
Grazie a tutti coloro che in qualsiasi modo hanno collaborato a questo lavoro.
A venti anni dalla morte finalmente abbiamo fatto memoria di Suor Ancilla Maria della Croce.
Gabriele Brunini - bruniniborgo@libero.it