IL PASSATO RIMOSSO: considerazioni sul cosiddetto "eccidio di Valdottavo" del 22 maggio 1921 e su altri episodi dimenticati.
L'episodio passato alla storia come “l’eccidio di Valdottavo” del 1921, mi ha sempre incuriosito; ma anch’io mi sono adeguato al silenzio che, da molto tempo, è calato su quell' episodio; silenzio rotto solo da rare uscite di qualche storico, spesso su testi specializzati, quasi sempre ispirate al conformismo, che rende tutto più facile se si attribuisce la colpa ai “vinti”.
Ho voluto così riflettere su questa sorta di oblio della storia e sul "passato rimosso", termine che mi è piaciuto mutuare dal giornalista/scrittore Pietrangelo Buttafuoco. Ho cercato notizie e testi che parlavano del grave fatto di sangue, avvenuto in un periodo storico particolare, immediatamente successivo al “biennio rosso” (1919/1920), quando la contrapposizione violenta tra socialisti e comunisti da una parte e fascisti e nazionalisti dall’altra, produsse tante vittime, in entrambi gli schieramenti, spianando la strada alla “marcia su Roma” del 28 ottobre 1922 ed alla presa del potere da parte del Partito Nazionale Fascista (P.N.F.).
Per confermare la tesi del passato rimosso ho voluto rileggere anche altri episodi, avvenuti sul nostro territorio, che sono sconosciuti ai più e sono caduti nell’oblio più o meno totale.
Dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, e per circa vent’anni, sono stato attivamente impegnato in politica e frequentavo con una certa assiduità il paese di Valdottavo, dove esisteva una delle poche sedi del MSI (Movimento Sociale Italiano), partito a cui appartenevo e di cui sono stato il rappresentante nel consiglio comunale di Borgo a Mozzano a partire dal 1975. La sezione era situata proprio davanti al Teatro Colombo. Gli iscritti al MSI, all’epoca, erano numerosi nella Valle d’Ottavo e molti di loro avevano vissuto il periodo del regime, gli anni del consenso, gli anni complessi e tragici della guerra, della guerra civile e del dopoguerra. Tanti di loro avevano vissuto le tensioni e le contrapposizioni forti, spesso fortissime, che si erano create tra fascisti e antifascisti, come tra comunisti e anticomunisti, che avevano determinato divisioni profonde addirittura nelle famiglie. Durante le riunioni mi capitava di ascoltare i racconti degli iscritti più anziani, che difficilmente entravano nei dettagli degli avvenimenti locali o delle storie che avevano vissuto in prima persona. Forse, inconsciamente, cercavano di rimuovere i ricordi dei dolori vissuti e preferivano non parlare degli episodi, talvolta tragici, di cui erano stati protagonisti, spesso loro malgrado.
Anche i “fatti di Valdottavo” del 22 maggio 1921 subirono la sorte dell’ oblio, ma non solo quelli.
Perfino l’ episodio, gravissimo, avvenuto il 13 settembre 1944 a Partigliano, quando gli abitanti del paese rischiarono di essere sterminati dai nazisti, in una delle tante inutili e incredibili stragi che in quella terribile estate del ‘44 insanguinarono contrade e paesi della Toscana e non solo, era sconosciuto ai più e veniva ricordato solo da coloro che avevano vissuto quei momenti. Ne è prova la lapide in ricordo di quei tragici fatti, che fu posta a Partigliano solo nell’anno 2006 dal Sindaco Francesco Poggi. Protagonista del salvataggio di quella comunità fu il prof. Silvio Ferri, uomo coraggioso e di grande cultura, che con il suo intervento autorevole, aiutato dalla conoscenza della lingua tedesca, riuscì a convincere il comandante delle truppe naziste a non infierire sulla popolazione e desistere da possibili rappresaglie. Silvio Ferri era il padre di Claudio, insegnante e storico, che fu consigliere attivo ed autorevole nel mio primo mandato di Sindaco (dal 1995 al 1999), addirittura come capogruppo di maggioranza; Claudio non mi parlò mai di quell’episodio che aveva visto suo padre come attore e mai mi chiese di valorizzarne il ricordo, come di certo avrei volentieri fatto.
Un altro episodio rimasto nell'oblio è quello della morte di Renato Giorgi, di Anchiano. Il Giorgi era stato Carabiniere Reale ed a tutti era nota la sua fede fascista. Nel quindicesimo anniversario della "marcia su Roma", il 28 ottobre 1937, appena ventottenne, Renato fu trovato morto nei boschi di Anchiano e molti ebbero la certezza che fosse stato ucciso, proprio per la sua fede politica. Il "santino" funebre scritto nell'occasione dei suoi funerali recita: "Fatale e cruda venne la morte. Tu Renato hai piegato la tua, ancora giovanissima e valida vita per sempre. Guarda dal cielo la tua cara sposa (Anna) la tua tenera bambina (Carla)...affinché nel tuo caro ricordo trovino rassegnazione e conforto - Anchiano, 29 ottobre 1937, anno XVI dell'era fascista".
Le indagini, che sicuramente saranno state svolte, non portarono a niente. Nel paese di Anchiano il nome del possibile assassino continuò ad essere solo sussurrato. Anche in questo caso si preferì l’ oblio.
Anche il testo di una lapide, ormai scolorita, di una vecchia tomba del cimitero di Chifenti ci pone un interrogativo sulla scomparsa di una persona di quel paese, che era uomo assai in vista e conosciuto. Si tratta di Guglielmo Colombini, "fascista della prima ora", scomparso, "misteriosamente", all'età di 31 anni. Ma lasciamo che, a parlare, sia quella lapide, così come, nel dolore, fu scritta: "Pio Guglielmo Colombini, Capo centuria giovani fascisti, Fiduciario Uff. Collocamento, fascista milite della prima ora, la sera del 2 febbraio misteriosamente scomparso nelle acque del Serchio, 75 giorni dopo fu restituito, sposa madre fratello e parenti inconsolabili lo piangono, amici e camerati lo ricordano, 1905 - 1936". Anche per Colombini, in paese, si pensò ad un regolamento di conti politico, come accadrà un anno dopo per il Giorgi di Anchiano, ma l'oblio sopraggiunse. Secondo l'atto di morte, redatto presso il Comune di Borgo a Mozzano, il corpo del Colombini fu ritrovato in data 19 aprile 1936 in località Piaggione.
Anche nella mia famiglia si è cercato di dimenticare. Una sorella di mio padre, la zia Anna Brunini di Oneta, aveva sposato un borghigiano, Torquato Guasperini , che morì nel 1929, dopo pochi anni di matrimonio, all’età di 27 anni, lasciando mia zia con un figlio piccolo (Alemanno Guasperini, nato nel 1926). Pochi anni dopo, nel 1931, morì anche un fratello di Torquato, Giordano Guasperini, all’età di 24 anni. Mia zia per mantenere il figlio andò “a servizio” in una famiglia benestante di Vercelli, dove rimase per tutta la vita; il figlio Alemanno morì nel 1966 per una grave malattia. In casa, da ragazzo, sentivo “sussurrare” che i due giovani fratelli Guasperini erano morti in conseguenza di un agguato compiuto contro di loro, perché appartenenti al “Fascio” di Borgo a Mozzano. In anni successivi anche l’amico dottor Franco Giusti, in diverse occasioni, mi confermò questo fatto ma, per una sorta di pudore, non gli chiesi mai spiegazioni e dettagli, che oggi non posso dare, né a me né agli altri.
Finita la guerra le fortificazioni della linea gotica, gallerie, trincee, camminamenti e fortini costruiti dall’ottobre 1943 fino all’agosto 1944, erano diventati ricettacolo di rifiuti o rifugi improvvisati per sbandati o, addirittura, per gli assassini della così detta “banda Fabbri”, che seminò paura sui nostri territori nei primi mesi del dopoguerra che usarono una galleria posta alla “polla del fico”, nel territorio di Anchiano, per nascondere dei cadaveri. All'inizio degli anni ’60, allo scopo di eliminarne i pericoli, gli ingressi delle gallerie furono murati e l’accesso interdetto. Solo alla fine degli anni ’90 del XX secolo ( ricordo bene il periodo perché ero Sindaco) si cominciò a lavorare, sollecitati da brave persone di tanta buona volontà, tra Comune e Comunità Montana, per realizzare un progetto di recupero e valorizzazione delle fortificazioni, da è nato il “Comitato Linea Gotica” che tanto si impegnato e si impegna nei progetti di riscoperta e valorizzazione dei siti storici, da cui è nato anche il “Museo della Memoria” di Borgo a Mozzano.
Nell'oblio era caduta anche l' uccisione, in uno scontro con i tedeschi, del partigiano ventottenne Pietro Pistis, avvenuta nel giugno 1944 nei pressi di Borgo a Mozzano, come la morte di Amato Terzini e di Martina Metalori, uccisi dai tedeschi a Partigliano nel settembre 1944. Anche l'uccisione, ad opera di un soldato tedesco, di Luigi Meconi, mentre si trovava a lavorare, ignaro del pericolo, nella sua vigna, dietro la scuola elementare di Valdottavo, è stata ricordata dalla figlia Maria, sposata Grandi, in un opuscolo dal titolo "27 Settembre 1944, La fine di un incubo", stampato dalla Tipografia Amaducci solo nel novembre 2003.
Un’altra storia tragica e inquietante è quella avvenuta nei boschi di Motrone, in località Picchiaia, nel freddo inverno 1944/1945, sulla quale ho cercato notizie, trovando solo una sorta di “bonaria” omertà. Il paese di Motrone, oggi ricompreso nel territorio del Comune di Borgo a Mozzano, all'epoca dei fatti apparteneva al Comune di Pescaglia. Le poche notizie che sono stato in grado di raccogliere dicono che i coniugi Zanobi e Teresa Lazzari, nel momento del passaggio del fronte, siano stati uccisi da “soldati di colore” e che Teresa sia stata violentata prima di essere uccisa. Il tutto avvenne davanti agli occhi del loro figlio, Alvaro Lazzari, che "impazzi" per quanto aveva visto e fu internato in un istituto fino alla morte. Alvaro, fu trovato dagli abitanti di Motrone, accanto ai genitori uccisi, nel metato di Picchiaia dove la famiglia Lazzari viveva in quei difficili giorni.
Un altro episodio di “passato rimosso” riguarda un borghigiano, assai conosciuto, perché esercitava la professione di geometra in paese. Si tratta di Raffaele Guidugli (o Raffaello), classe 1916, che aderì alla RSI e, catturato dai partigiani, fu fucilato a Piacenza il 1 maggio 1945. Avevo trovato questa notizia facendo ricerche di un amico di mio padre, Gabriele Zamboni, livornese, la cui famiglia aveva una casa a Oneta, dove trascorreva le vacanze. Anche lo Zamboni era stato fucilato a Piacenza nella stessa data del 1 maggio 1945. Raffaele Guidugli e la moglie Bianca nell’ occasione del loro matrimonio avevano donato una ceramica “robbiana” che, ancora oggi, fa mostra di sé sulla facciata del convento francescano del Borgo. Sapendo che la moglie era viva, qualche anno fa, mi misi in contatto con lei per avere notizie di quella ceramica donata al convento e del marito; ma mi sentì rispondere che le figlie non sapevano come era morto il loro padre e quindi non voleva parlare del passato…
Perfino episodi meno tragici, che potremmo definire “a lieto fine”, come l’ospitalità offerta dagli abitanti di Particelle (Corsagna) a soldati americani, durante il passaggio del fronte, o attestati rilasciati a firma del Generale Alexander per “gratitudine e riconoscenza per l’aiuto dato ai membri delle Forze Armate degli Alleati”, come quello che mi consegnò qualche anno fa Ferminda Giusti di Corsagna, non sono mai stati conosciuti adeguatamente dalle nostre comunità.
Chissà quanti altri episodi, che non conosco, sono accorsi nel periodo tra le due guerre mondiali e nel corso dell’ultimo conflitto, che ebbe anche il tragico epilogo di una guerra civile tra italiani…
A Borgo a Mozzano, come in tanti altri luoghi, si preferì non ricordare il passato. Dopo il “Sindaco della liberazione”, che fu Antonio Tonelli, esponente del CLN, i successivi mandati furono affidati a uomini della Democrazia Cristiana, che erano persone importanti della comunità borghigiana, “notabili” di paese, ma che tali erano stati anche negli anni del “regime”; mi riferisco in particolare al geometra Aldo D’Olivo, che fu Sindaco dal 1951 al 1961. (1) Nel decennale della liberazione, che al Borgo fu ricordato il 27 settembre 1954, venne apposta sul palazzo comunale, in piazza “XX settembre”, una lapide che, come ho più volte detto anche in cerimonie ufficiali, rappresenta un “inno alla libertà” e un contributo alla “pacificazione”.
Ecco il testo: “In questa piazza - nel decennale della liberazione - il popolo esalta la più bella conquista – LA LIBERTA’ – Dio e volontà degli uomini – la conservino ai posteri – a conforto e memoria dei suoi martiri”. Nei dieci anni trascorsi dall’arrivo degli Alleati sul nostro territorio la vita era ripresa, con fatica, ma con tanta speranza. Più o meno tutti erano tornati ai propri lavori e alle proprie occupazioni, molte famiglie piangevano i morti o dispersi in guerra, soprattutto nella campagna di Russia. Perfino coloro che avevano aderito alla RSI ed erano andati “al nord”, passati sotto le forche caudine delle epurazioni, rientrarono tutti nei benefici dell’amnistia del 22 giugno 1946 (ministro guardasigilli era Togliatti) e furono reintegrati nei ruoli e nei posti di lavoro. Rimanevano le divisioni, perfino all’interno delle famiglie, ma i più preferirono rimuovere il passato. E' un pò quello che racconta Edoardo De Filippo in una celebre commedia, messa in scena subito dopo la liberazione, diventata un film nel 1950 col titolo “Napoli milionaria”: il protagonista, ritornato dalla guerra, vuole raccontare a tutti quelle che ha visto, ma tutti continuano a ripetergli che “la guerra è finita”, affermando, con questa frase, il desiderio degli italiani di voltare pagina, di guardare al futuro e di “rimuovere il passato” fatto di dolore e tristezze.
Ma torniamo ai “fatti di Valdottavo del 22 maggio 1921” e all’uccisione di due giovani fascisti lucchesi, entrambi studenti universitari, che divennero “i martiri di Valdottavo”. A loro il regime dedicò luoghi simbolo, come il grande piazzale antistante porta S. Maria, a Lucca, che divenne “piazzale martiri di Valdottavo”, oggi ribattezzato “piazzale martiri della libertà”. Di certo nell’immediatezza degli eventi, in un periodo in cui le violenze si susseguivano, l’episodio destò grande scalpore, soprattutto al livello provinciale e la cosa “bruciò” ai fascisti e agli antifascisti, che si fronteggiavano senza esclusione di colpi, anche in questo fazzoletto di terra, tra Lucca e Borgo a Mozzano che vedeva la presenza di due importanti realtà industriali, come lo iutificio del Balestreri a Ponte a Moriano e il cotonificio Croce a Piaggione. Appena il 25 marzo di quell’anno era stato freddato con un colpo di pistola, nei pressi di Saltocchio (Ponte a Moriano), il ventiduenne Tito Menichetti, fascista pisano, rimasto a guardia di un camion in avaria; e subito dopo l’agguato di Valdottavo, il 24 maggio, era stato aggredito, da parte di un gruppo di fascisti lucchesi, un casellante di Saltocchio, Esmeraldo Porciani, di fede antifascista, che morirà, per le conseguenze della violenza, il mattino del 25 maggio all’ospedale di Lucca. Di entrambi gli episodi furono identificati e processati i responsabili. Anche per i massi fatti precipitare sul camion di ritorno da Valdottavo, furono svolte indagini da parte dei “Carabinieri Reali” che, già pochi giorni dopo l’eccidio”, identificarono i possibili esecutori e fiancheggiatori. Ci fu il processo e ci furono condanne, anche pesanti, che divisero ulteriormente la comunità di Valdottavo tra colpevolisti ed innocentisti, come sempre accade. Degli indagati, degli arrestati e dei condannati per l'attentato, si è parlato davvero poco. In ultimo le condanne arrivarono solo per tre persone. Una, che scontava l’ergastolo (Achille Giannarini), morì durante la detenzione, le altre due, al momento delle scarcerazioni, avvenute nel 1932 (Cesare Della Nina) e nel 1936 (Amedeo Ramacciotti), tornarono nel loro paese e ripresero la vita di sempre; sia pure subendo, come ricordano alcuni testimoni che ho incontrato, umiliazioni e vessazioni dai fascisti più intransigenti che non perdonavano l’attentato del ’21. Sull'episodio, almeno fino ad oggi, non ci sono mai state significative strumentalizzazioni politiche, come avrebbe ben potuto avvenire. Una delle ultime citazioni di quei fatti lontani è stata fatta, in tempi recenti, all’interno di un romanzo, scritto dall’amico Roberto Andreuccetti, di Valdottavo, pubblicato nel novembre 2020. Sulla copertina del romanzo appare la foto del monumento eretto sulla strada Lodovica, poco dopo il ponte della Celetra, dove caddero i massi dell’attentato. La foto è quella che mi fu data, solo per la scannerizzazione, dal geometra Carlo Radini, di Valdottavo, grande appassionato di storia del suo paese, che da tempo ho pubblicato sul web. Il Radini conservava quell’originale insieme a tante altre foto e documenti di cui mi aveva parlato e che, alla sua morte, nonostante i tentativi, non sono riuscito a recuperare.
A cent’anni dal 22 maggio 1921 “l’eccidio di Valdottavo” rimane un episodio fortemente controverso, dove i racconti e le interpretazioni sono fortemente condizionate, come spesso accade, dalle convinzioni e dalle appartenenze ideologiche di coloro che scrivono. Sicuramente anch’io non sfuggirò a questo condizionamento ma, dopo 100 anni, quando abbiamo perso l’opportunità di avere i contributi e i ricordi dei diretti interessati, attori o testimoni degli eventi, ho provato ad elencare sul mio sito www.gabrielebrunini.it tanti contributi sull'argomento, per una maggiore conoscenza dell'episodio e di fatti collaterali, non rinunciando alla ricerca di una possibile verità.
Per leggere la mia ricerca basta andare su Google e cliccare "il passato rimosso e i fatti di valdottavo del 1921".
Buona lettura.
Gabriele Brunini – maggio 2021
Note: (1) Il Sindaco della Liberazione”, Antonio Tonelli, di Diecimo, si insediò il 2 ottobre 1944 e ricoprì la carica fino alle elezioni del 1945. In quell'anno fu eletto il borghigiano Vincenzo Barsi, rimasto in carica fino al 1951, quando fu eletto Aldo D’Olivo, anche lui di Borgo a Mozzano, che rimase in carica fino al 1961.