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EDOARDO MORONI, UN MINISTRO DELLA RSI CHE RIUSCI' A SALVARSI DALLA MATTANZA DELL'APRILE 1945...

Edoardo Moroni, che fu ministro dell'agricoltura nella Repubblica Sociale Italiana, aveva sposato la signorina Marianna Giorgi, figlia dell'avvocato Gino, ultimo esponente della grande ed importante famiglia di Borgo a Mozzano, proprietaria di poderi, case e del grande palazzo che si trova in via della Repubblica (già via Regina Margherita), oggi in abbandono, dopo un tentativo, fallito, di ristrutturazione. La famiglia Giorgi, fino alla morte dell'avvocato (avvenuta nel 1948) aveva importanti proprietà anche a Lucca, come una villa a Monte s. Quirico e i palazzi che si affacciavano su via Fillungo e piazza Guidiccioni.
Quando ero bambino mi capitava, talvolta, di vedere arrivare, davanti alla mia casa del Borgo, dove allora vivevo, posta in via Umberto 195, dei miei coetani "ricchi", accompagnati da bmbinaie in livrea...erano i nipoti del Ministro Moroni,  che allora (siamo negli anni '50 o primi anni '60),  viveva tra il Brasile e l' Argentina. Le due bambinaie/governanti di quei bambini erano infatti di Borgo a Mozzano (Lida Lotti e Norma Bruni) e, ogni tanto, portavano quei bambini al loro paese. Del nonno di quei bimbi (ex ministro di Mussolini) sentivo parlare con un alone di mistero...

Anche questo motivo mi ha sempre stimolato a capire di più il personaggio, che riuscì a sfuggire alla "mattanza" dell'aprile 1945, quando la maggior parte dei membri del governo della RSI vennero fucilati a Dongo, dopo l'uccisione di Mussolini e della Petacci a Giulino di Mezzegra (28 aprile 1945).


Nell'ottobre 2018 sono riuscito a contattare uno di quei bambini, di cui ho parlato sopra, nipote del Ministro Moroni, che mi ha inviato alcune foto inedite, del nonno e della famiglia Giorgi che, oltre ad essere pubblicate su questa pagina, mi saranno molto utili per le mie ricerche storiche. Lo ringrazio, insieme a sua sorella per la generosa collaborazione. Del resto, nei libri di storia ed anche sul web non esistevano immagini "storiche" del personaggio Moroni.

Ma parliamo di Edoardo Moroni:

Enrico Odoardo Moroni (sono questi i nomi che compaiono sul suo certificato di nascita e su quello di matrimonio), nacque a Cordoba, in Argentina, il  13 ottobre 1902 da Pietro e da Bellandi Cecilia. Trascorse la sua giovinezza a Lucca, nella villa di proprietà della famiglia (Villa Moroni) e ivi frequentò le scuole inferiori e superiori.
Frequentò, quindi, l’università di Pisa, dove si laureò in Agricoltura.
Il 15 aprile 1922, non ancora ventenne, sposò la ventiduenne Giorgi Marianna, nata ad Altopascio e ne ebbe tre figli: Maria Paola detta Bebe, Maria Laura detta Dory e Giorgio.
Iniziò la sua carriera lavorando per l’Associazione Agricoltori di Lucca. Successivamente fu nominato Presidente della Federazione Italiana Consorzi Agrari a Roma.
Partecipò alla Marcia su Roma come appartenente al "Fascio di Borgo a Mozzano". 
Nella R.S.I. fu attivo e competente Ministro dell’Agricoltura e Foreste. Il suo ministero ebbe sede prima a Treviso e poi, dopo il grande bombardamento, a San Pellegrino Terme.
Al momento del crollo della RSI egli ebbe ricovero a Luino a casa del Direttore generale del suo Ministero Dr. Albertario, che risultò essere membro del C.L.N. Poi partì in auto e in una sola tappa arrivò a Livorno alla Stanic. Indi proseguì per Roma da dove, appena gli fu possibile, partì per l’America Latina. Prima  fu in Argentina  dove, avendo ripreso la sua cittadinanza argentina, fu funzionario del governo di Peron e autore di un piano di colonizzazione agraria che prevedeva l’emigrazione inquadrata di migliaia di italiani, piano messo al punto al termine di un viaggio nell’interno di oltre 20 mila chilometri e che richiedeva la collaborazione del governo italiano. Aiutò anche l’impianto in Argentina di ditte italiane come la Fiat e la Techint. Poi passò in Brasile dove fece arrivare anche la moglie e i due figli Dory (che aveva sposato un calciatore della Fiorentina: Augusto Magli) e Giorgio. La figlia Maria Paola (Bebe), maritata Luconi, rimase in Italia nella villa “Mariannina”di Monte San Quirico (Lucca) dove è morta. Quanto essa morì, il 6 agosto 1958, il Ministro, ancora vivente, venne in Italia per condurre in Brasile anche i nipoti. Era l’agosto 1963. In Brasile sono ormai morti sia Moroni, deceduto a Buenos Aires il 3 febbraio 1975,  che i suoi due figli. In Argentina vivono ancora i nipoti fra cui Marco Luconi.

Il Moroni fu deputato nella XXX Legislatura del Regno d'Italia, nella Camera dei fasci e delle corporazioni (dal 23.03.1939 al 02.08.1943).

Edoardo Moroni è citato anche nel libro "I SEGRETI DEL QUARTO REICH" di Guido Caldiron dove, a pag. 216, si afferma che "tra coloro che il governo peronista aveva accolto a braccia aperte", insieme a Vittorio Mussolini, Carlo Scorza, Cesare De Vecchi, Giuseppe Spinelli, Tullio Tamburini, Enzo Grassi, Francesco Giunta (tutte figure di primo piano del fascismo e della RSI) c'era anche "Edoardo Moroni che nella RSI guidava il Ministero dell'Agricoltura". Tra i nomi ricordati nel libro c'è anche un sacerdote, Eusebio Zappaterrini, che l'autore definisce "fanatico fascista e propagandista del totalitarismo".
Moroni e Spinelli, afferma ancora il libro, "sarebbero diventati entrambi funzionari del governo argentino".

Nella storia tragica della seconda guerra mondiale e del passaggio delle truppe tedesche in Lucchesia, dove furono compiute stragi ingiustificate e inenarrabili, un episodio grave è quello della rappresaglia dei soldati tedeschi contro la Villa Giorgi di  Monte S. Quirico (Lucca), il cui proprietario è il già citato avv. Gino Giorgi di Borgo a Mozzano, suocero di Edoardo Moroni, Ministro in carica della RSI. Il Giorgi era prsente alla villa durante l' incursione dei soldati tedeschi e la cattura di coloni e carabinieri di guardia, che si concluderà con la fucilazione di alcuni di loro in loc. Pioppeti di Massarosa. La famiglia Moroni invece si trovava al nord. 

E' mai possibile che l'autorevole genero del Giorgi non sia stato contattato e non sia potuto intervenire sulle autorità tedesche o sulle autorità fasciste che, a luglio del 1944, avevano ancora il controllo della città di Lucca e del suo circondario ?

Sono i misteri di quei giorni tragici, dove tante cose non tornano....

Per me rimane un mistero anche il fatto che, durante la carcerazione di Don Aldo Mei,  nella Pia Casa di Lucca, l'Arcivescovo Antonio Torrini non sia riuscito a far valere la sua autorità morale, intervenendo, anche con una visita personale, per liberare il giovane prete che si trovava prigioniero a poche  centinaia di metri dalla sede arcivescovile....

Ma torniamo alla rappresaglia contro la Villa Giorgi. Ecco il racconto degli eventi scritto dall'Istituto Storico della Resistenza di Lucca:


Alle 2 di notte del 26 luglio 1944 alcuni colpi di arma da fuoco vengono esplosi nei dintorni di villa Giorgi, tra Sant’Alessio e Monte San Quirico. La tenuta è presidiata da una pattuglia di carabinieri, perché il proprietario – l’avvocato Gino Giorgi – è suocero di Edoardo Moroni, ministro dell’Agricoltura e delle Foreste della Repubblica Sociale Italiana.
Cosa è accaduto?
Di preciso non si sa. Stando ad alcune ricostruzioni, soldati tedeschi presenti sul posto – appartenenti al 40. Jager Regiment (fanteria leggera) della 20. Luftwaffen Feld-Division, ubriachi e gelosi di alcune donne del posto, al termine di una lite tra loro avrebbero sparato i colpi. Secondo altre versioni, sarebbero civili – più per spacconeria che per resistenza antifascista, visto che non ci sono partigiani attivi in zona – a sparare in direzione di una camionetta.
Sia come sia, il comando tedesco chiama in causa non meglio identificati partigiani scesi in paese per attaccarli. Alle cinque del mattino le truppe – con ogni probabilità del 40. Reggimento di fanteria leggera – arrivano in forze in paese e, dopo alcune ore di paura, nel pomeriggio iniziano il rastrellamento.
Vengono catturate dieci persone. Il primo è Aldo Bicocchi, un ragazzo che il giorno prima ha accompagnato Giorgi da Borgo a Mozzano, dove l’avvocato risiede, alla villa di Sant’Alessio. Poi è la volta di due coloni di Giorgi: Ivo Giusti e Foresto Pizza. Viene preso anche Giuseppe Giusti, fratello di Ivo, e carabiniere di guardia alla villa, insieme ad altri due agenti: uno, Silvio Ottoni, si nasconde in soffitta armato di mitra e bombe a mano; l’altro, Felice Cavallero viene arrestato. Poi tocca al cognato dei Giusti, Marino Lombardi, a un altro abitante del posto, Celestino Di Simo, a uno sfollato livornese, Michele Losappio e a un impiegato del Polverificio Maionchi, Pietro Orsi.
Intanto, Emilia Giusti, zia di Ivo e Giuseppe, saputo di quanto sta avvenendo, avvisa il figlio Elio Matelli che lascia la casa per avere maggiori informazioni: pure lui viene arrestato dai tedeschi.
Sono ore drammatiche. L’avvocato Giorgi e il parroco don Angelo Fanucchi cercano un dialogo con i soldati, spiegano loro che non ci sono partigiani in zona, che la popolazione è pacifica.
Soltanto in tre vengono rilasciati: Bicocchi, che può così riaccompagnare Giorgi a Borgo a Mozzano; Losappio, perché ha cinque figli; e Matelli, pure lui padre di una bambina piccola e con la moglie al nono mese di gravidanza.
Gli altri sette, verso le 20.30, vengono caricati su un camion e condotti a Nocchi, presso il comando tedesco. Lungo il percorso, l’automezzo si ferma in località Bandiera (all’incrocio tra via per Camaiore e via della Maulina): i soldati hanno bisogno di mangiare e bere. Gli uomini catturati non ne approfittano per fuggire e rimangono sull’automezzo, nonostante alcune persone suggeriscano loro la fuga approfittando della momentanea assenza dei loro guardiani: a quanto pare, temono che, una volta scappati, i tedeschi tornino indietro a vendicarsi sui loro familiari o su altri compaesani.
Il giorno successivo, con i sette ancora a Villa Graziani, i tedeschi tornano a Sant’Alessio. La rappresaglia stavolta si concentra sul gruppo di case di proprietà delle famiglie Di Simo e Lombardi, che vengono fatte esplodere, e poi contro capanne, stalle e covoni di grano, incendiati, e contro il bestiame.
Quanto ai rastrellati, nel pomeriggio, dopo essere stati interrogati, i sette sono condotti a piedi da Nocchi a Pioppetti, una località tra Valpromaro e Montemagno. Viene dato loro un badile per scavarsi la fossa, dopodiché – alle 17 – Felice Cavallero (ventitré anni), Giuseppe Giusti (ventiquattro anni), Ivo Giusti (ventinove anni), Marino Lombardi (trent’anni), Celestino Di Simo (quarantasette anni), Pietro Orsi (quarantatré anni) e Foresto Pizza (trentatré anni) vengono fucilati.
Il parroco di Montemagno don Cesare Francesconi li fa seppellire meglio in una fossa, sempre a Pioppetti, poi, grazie all’interessamento di Olinto Giusti – fratello di due delle vittime – il comando tedesco provvede la settimana successiva a trasferire le salme a Sant’Alessio, dove trovano definitiva sepoltura.

Di Edoardo Moroni si occupa anche l'Istituto Storico della RSI che fornisce una serie di notizie che integrano la conoscenza del personaggio e la sua biografia. Ecco quello che scrive il suddetto Istituto:

Edoardo Carlo Moroni
 nasce a Cordoba in Argentina il 13 ottobre 1902. Partecipa alla “marcia su Roma”. Fonda i Sindacati agricoli della Lucchesia e, a Roma, è Presidente della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari. Membro della Giunta esecutiva della Confederazione Fascista degli Agricoltori, dal 1939 è Consigliere Nazionale della Camera dei Fasci delle Corporazioni.
Il 23 settembre 1943 accetta la nomina a Ministro dell’Agricoltura e delle Foreste, Ministero che dal 19 gennaio 1945 diviene della Produzione Agricola e Forestale. La sede del Ministero, dopo il terroristico bombardamento del 7 aprile 1944 del centro storico di Treviso, che provoca almeno 1460 vittime, viene spostata da Treviso a San Pellegrino Terme (BG).
Nella seduta del Consiglio dei Ministri della RSI del 9 dicembre 1944 relaziona più puntualmente di ogni altro Ministro sull’attività svolta. Nell’anno la complessiva produzione di cereali, in milioni di quintali, è di 44,5. Suddivisa in 30 ,3 per il grano (la stessa del 1943) e 16,2 per il granturco (aumento del 10% sul 1943 ) e ambedue le quote, pur in mancanza di fertilizzanti, quasi come nel 1939, “anno di felice raccolto in tempi normali”. Mentre per il risone la produzione è di 5,2 milioni di quintali (diminuzione del 22% sul 1943 per deficienza di mano d’opera). Per il grano l'evasione dall'ammasso è di 2 milioni di quintali (meno del 7 %). Invece nella seduta del 18 gennaio 1945 viene autorizzato, per l'esercizio finanziario 1944-1945, una spesa di 225 milioni di Lire per l' UNSA-Ufficio Nazionale per i Servizi dell'Agricoltura, che riordina e assorbe Enti economici e relativi Uffici periferici del Ministero dell'Agricoltura.
Nel dettaglio le razioni del momento (200 grammi/giorno per il pane e 3 Kg./mese per i generi da minestra) corrispondono a 112 Kg /annui di grano, ne sono stati autorizzati 120 Kg . per i quasi 19 milioni di residenti nell’ Italia settentrionale. Razioni annue che molti Capi Provincia hanno elevato a 150 Kg,, con eccezioni a 200 Kg. nei territori di Bologna e di Provincie viciniore e talvolta con approvvigionamento prolungato. I produttori, per parte loro, trattengono 200 Kg/annui per ogni componente del nucleo familiare, diritto che per i produttori non coltivatori, ossia i proprietari di fondi a mezzadria, scende a 150 Kg/annui. Inoltre 6,6 milioni di persone fruiscono del supplemento di 75 grammi di pane, con un superconsumo annuale di 700 mila quintali di grano e che i partecipanti alle mense aziendali, dal 1943 al 1944 più che raddoppiati, gravano per 200 mila quintali di grano, avendo diritto ad un extratessera mensile di 1,5 Kg. Per gli altri principali alimenti (carne, formaggio, grassi, latte, zucchero), stante l’assorbimento del 40% da parte delle Forze Armate, il possibile aumento delle razioni dipende da più forti conferimenti all’ammasso.
E’ contrario, insieme a Mezzasoma e Tarchi, al trasferimento nell’ottobre 1944 dei familiari dei Ministri in Svizzera, che poi vanno a Zuers in Austria. Alcuni rimpatriano a metà gennaio 1945.
Nel dopoguerra si rifugia a Luino, Livorno e Roma. Processato in contumacia e assolto nel 1946 può espatriare con la famiglia, compreso il figlio Giorgio, Sottotenente della GNR alla Scuola AA.UU. “Vicenza - Tonezza” , da luglio 1944 Istruttore al Battaglione AA.UU GNR “Orvieto” e infine con la colonna GNR di Torino che si arrende a Strambino Romano (AO) il 5 maggio 1945.
Emigra con i familiari in Brasile. Poi va in Argentina perché assunto, in qualità di consulente nel settore agricolo, sia dal Presidente Juan Domingo Peron che dai successivi Governi militari.
Muore per malattia il 5 febbraio 1975 (o il 3 febbraio 1975, secondo altre fonti) a Buenos Aires, dove é sepolto.

Dopo aver riportato notizie sul Moroni provenienti da varie fonti,  posso aggiungere alcune ulteriori notizie e precisazioni, frutto di testimonianze di persone vicine al personaggio, che sono fonti autorevoli, certe e documentate.

Nel periodo turbinoso che fece seguito alla caduta di Mussolini, dopo il Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943, il Moroni si ritirò nella sua villa lucchese di Monte S. Quirico, ospitando nella sua casa il gerarca Renato Ricci con la famiglia.
La villa del Moroni era sotto scorta dei carabinieri, che avevano il compito di proteggere, ma anche di controllare, per conto del Governo Badoglio, i personaggi autorevoli del fascismo (il Ricci soprattutto) che vi si trovavano. Renato Ricci, fascista della prima ora e ras di Carrara e della Lunigiana, negli anni del consenso, era stato Presidente dell'Opera Nazionale Balilla e Ministro delle Corporazioni dal 1939 al 1943.
Un giorno il Moroni accompagnò Renato Ricci a Tassignano dove, sul campo di volo, c'era un aereo tedesco che lo attendeva per trasportarlo in Germania.
Nel momento in cui Mussolini annunciò, in Germania, la nascita della RSI e la formazione del Governo spuntò il nome del dottor Edoardo Moroni che, durante il ventennio aveva avuto diversi ed importanti incarichi, soprattutto nel settore dell'agricoltura, ma che certamente non era un personaggio di primo piano del fascismo. Sicuramente Renato Ricci, fresco della comprovata amicizia che il Moroni gli aveva dimostrato nei giorni difficili del luglio 1943 ospitandolo nella sua casa di Lucca, lo aveva segnalato per l'incarico di Ministro dell'Agricoltura.
Nei giorni drammatici dell'aprile 1945, quando Benito Mussolini con i membri del suo Governo e i fedelissimi si trovavano a Milano e si organizzavano per il trasferimento in Valtellina, dove si pensava di tentare una ultima, impossibile resistenza, il Moroni si congedò dal Duce e non segui i colleghi di governo verso la fucilazione di Dongo. Ebbe la fortuna di essere ospitato dal Prof. Paolo Albertario, che era stato durante la RSI il direttore generale del ministero dell'agricoltura, nella casa di questi a S. Angelo Lodigiano.
Il caso del prof. Albertario è davvero unico. Dopo essere stato  Direttore generale del Ministero dell'agricoltura nella Rsi, utilizzò il suo ruolo per tutelare i bisogni alimentari dei civili, contro gli interessi dei militari rappresentati dal Governo di occupazione tedesco, fornendo appoggio e sostegno alla Resistenza, nelle file del Partito socialista a cui aveva nel frattempo aderito. Terminata la guerra fu nominato addirittura Ministro dell'agricoltura del governo del Clnai e  partecipò da protagonista alla ricostruzione. 
Ospitare il Moroni nella sua casa, posta in un piccolo centro, creava comunque problemi anche ad un personaggio ben protetto come il prof. Albertario, che decise di far uscire il Moroni dalla sua casa, vestito da frate, facendolo arrivare a Roma, trovando rifugio in Vaticano, "in un posto dove il soggiorno si pagava in oro".
Sempre secondo il racconto di persone vicine all'ex Ministro, nei sette mesi successivi alla fine della guerra, il Moroni subì un processo dove fu assolto, grazie sempre alla testimonianza del suo ex direttore generale Paolo Albertario.
Trovando difficoltà a vivere in Italia il Moroni, che essendo nato in Argentina era cittadino di quel paese, si trasferì nel grande paese sudamericano, presentandosi al Presidente Juan Domingo Perón che lo prese subito a benvolere, diventando così suo consigliere o, addirittura, come dicono le testimonianze, "la sua eminenza grigia".
Moroni veniva spesso in Italia per organizzare le esportazioni di grano e carne dall'Argentina, anche se "lui non firmava mai niente" e non figurava mai. Tra gli incarichi avuti nel paese sudamericano le testimonianze citano la "presidenza  del Banco Nazionale Argentino".
Una curiosità che si collega a Borgo a Mozzano: una figlia del Moroni e di Marianna Giorgi (Maria Paola Moroni detta "Bebe) che andò sposa a Diego Luconi, aveva fissato il matrimonio per il 9 settembre 1943 e il viaggio di nozze a Venezia. Dopo gli accadimenti dell'8 settembre e l'annuncio dell'armistizio  il matrimonio fu celebrato nella chiesetta della villa Giorgi di Lucca, ma il viaggio di nozze, non essendo assicurato che i treni viaggiassero regolarmente,  fu fatto a Borgo a Mozzano, risiedendo nel palazzo del nonno, l'avvocato Gino Giorgi, in via Regina Margherita (oggi via della Repubblica).
Tra le testimonianze ce n'è una che riguarda l'ingresso delle truppe tedesche nella villa Giorgi di Lucca il 26 luglio 1944, fatto di cui si parla in un articolo dell'ISR di Lucca. Il testimone riferisce che i tedeschi entrarono "il giorno che, alla villa,  un tedesco fu ucciso da un partigiano".
Anche su i rapporti tra il Moroni ed i suocero Avv. Giorgi le testimonianze parlano di rapporti molto tesi e di contrasti., tanto che il suocero non parlava con il genero. "L'avvocato Giorgi - dicono le testimonianze - era intelligentissimo e massone". E questo fatto determinava un contrasto insanabile con il genero e con il fascismo che avversavano la massoneria.

Una lettera firmata da Moroni. In un carteggio appartenuto al Rag. Francesco Lotti di Borgo a Mozzano, che fu ragioniere di quel Comune ma, soprattutto, il potente Segretario del Fascio di Borgo a Mozzano, c'è una lettera della Confederazione Fascista degli Agricoltori Unione Provinciale di Lucca a firma del Presidente Moroni, datata Lucca 10 marzo 1938=XVI. Dovrebbe trattarsi di Edoardo Moroni, che fu Ministro dell'Agricoltura nella RSI, che aveva sposato a Borgo a Mozzano la Signora Mariannina Giorgi ed era iscritto al Fascio di Borgo a Mozzano. La lettera è questa: Caro Lotti Ti rimetto la lettera ricevuta da S.E. Balbo pregandoti di volermela ritornare. Tanti cordiali saluti MORONI
Chiaramente non c'è la copia della lettera ritornata. Sarebbe stato bello conoscerne il contenuto.

L'ARGENTO DELLA FILIALE DELLA BANCA D'ITALIA DI LUCCA TRASFERITO AL NORD.
Tra le notizie, molto scarne, che ho trovato finora sul Ministro Edoardo Moroni, lucchese di origine e di residenza, vi è quella riportata dallo studioso Matteo Bennati in un saggio che tratta il tema La Rsi a Lucca, tra illusioni di governo autonomo e spoliazione delle risorse del territorio”. Nel testo viene riportata la denuncia di Alpinolo Franci, già Vice Prefetto a Lucca, depositata il 22 febbraio 1945, nel quale lo stesso ricorda che qualche tempo dopo l’avvicendamento tra Mario Piazzesi e Luigi Olivieri a capo della provincia di Lucca, nel maggio 1944, apprese da quest’ultimo che il ministro dell’agricoltura della Rsi, Edoardo Moroni – cresciuto a Lucca e con rapporti importanti con la città – aveva dato ordine a Olivieri affinché tutti i beni dello Stato esistenti nella provincia venissero portati al nord. Olivieri sarebbe riuscito, proprio attraverso tale Mario Rossi, ispettore presso la tesoreria della banca, a venire a conoscenza dell’esistenza, presso la Banca d’Italia di Lucca, di un conto della Prefettura di oltre 40 milioni: al Rossi stesso era stato dunque affidato il compito di occuparsi del prelevamento. Se il prelevamento dei fondi della Prefettura non sembra essere andato a buon fine, riuscito pienamente sembra invece essere stato quello dell’argento dal caveau della banca. L’operazione avvenne all’alba del 21 giugno 1944, alla presenza delle locali autorità civili e di polizia, «In esecuzione dell’ordinanza 20 giugno 1944 n° 906 Gab. del Capo della Provincia di Lucca». Al vicecommissario Cavilli fu consegnato «tutto l’argento esistente nelle Casse della Succursale», e che «per disposizione dei Ministeri delle Finanze e del Tesoro, doveva costituire riserva e, quindi, non spendibile». L’ammontare dell’argento in lire risulta essere pari a 7.894.000 lire, costituente la voce «argento fuori dotazione», mentre pari a 10.000 lire risulta essere quello «in dotazione». Nel verbale dell’operazione, si informa anche che l’argento era contenuto «in n° 1.580 sacchetti di tela, contenenti ciascuno monete per l’ammontare di lire cinquemila».
Testo inserito il 27.08.2022.








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